Recentemente, complice la paura per la peste suina, è saltata all’onore delle cronache una vicenda strana: alcuni maiali che vivevano in un rifugio (santuario), dunque maiali salvati dall’allevamento intensivo, sono stati abbattuti per precauzione anche se i veterinari avevano detto che erano sani. Ne è nata una protesta che, all’improvviso, ha riacceso le frange più radicali del movimento animalista italiano: con quale diritto le istituzioni vengono a fucilare dei maiali liberi, di cui alcuni attivisti si prendevano cura da anni? Qualche hanno fa la storica dell’arte Valentina Sonzogni ha curato un libro dal titolo Salvi! Animali, rifugi e libertà (Safarà 2016) in cui insieme a molti intellettuali e attivisti ha provato a chiarire una cosa: i santuari per animali sono luoghi speciali in cui è possibile sperimentare l’empatia profonda che lega ogni essere vivente, con l’idea di costruire un futuro di pace, cura e sostenibilità per tutte le creature. I santuari sono vie di fuga dal sistema di sfruttamento e uccisione della vita animale, sperimentano una possibilità alternativa di esistenza e convivenza e mostrano che quello che facciamo agli animali non solo è grave ma anche stupido, perché ci toglie la possibilità di conoscere individui straordinari che non hanno nulla da invidiare ai cani o ai gatti che tanto amiamo. Ucciderli a fucilate, dentro i confini di questo rifugio, è stato orribile, perché dove qualcuno cercava di diffondere pace e amore, qualcun altro ha preferito ancora una volta guerra e violenza.◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1533 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati