Javier Milei vuole spazzare via il consenso sui crimini della dittatura argentina costruito in quarant’anni di democrazia. Il presidente e la sua vice, Victoria Villarruel, negano l’esistenza di un piano sistematico di sterminio durante la dittatura, tra il 1976 e il 1983. Il 24 marzo, in occasione dei 48 anni dal golpe militare, il governo ha diffuso un video che equipara il terrorismo di stato alla violenza dei gruppi guerriglieri, sostenendo che è stata una guerra in cui “sono morti innocenti su entrambi i fronti”, mettendo in dubbio il numero di vittime causate dalla dittatura e suggerendo che le organizzazioni per la difesa dei diritti umani abbiano “fatto affari” con la richiesta di giustizia per le decine di migliaia di desaparecidos. La provocazione è arrivata poche ore prima della manifestazione convocata per la giornata nazionale della memoria per la verità e la giustizia. E la risposta è stata massiccia: decine di migliaia di persone sono scese in piazza a Buenos Aires e in altre città del paese per contestare l’esecutivo e difendere la democrazia. Lo slogan “Mai più” era presente in bandiere, manifesti e magliette, insieme al fazzoletto bianco delle Nonne e delle Madri di plaza de Mayo, un simbolo mondiale della resistenza argentina contro la dittatura.
La priorità dei giovani
Il 24 marzo 1976 segnò l’inizio della più sanguinaria dittatura della storia argentina. I militari rimasero al potere per quasi sette anni portando avanti un piano di sterminio sistematico. L’esercito sequestrò, torturò, uccise e fece sparire migliaia di argentini i cui corpi non sono mai stati trovati. I loro bambini furono rapiti e affidati a famiglie di “patrioti”. Con il ritorno della democrazia, i processi ai responsabili dei crimini contro l’umanità hanno portato alla condanna di 1.200 persone, un fatto unico in America Latina. Fino all’elezione di Milei, lo scorso novembre, tutti i governi democratici avevano sempre condannato il terrorismo di stato. Mauricio Macri, presidente dal 2015 al 2019, ha messo in dubbio la stima di trentamila desaparecidos proposta dalle organizzazioni per i diritti umani, ma non il piano criminale della giunta comprovato da più di trecento sentenze.
Per Milei, invece, non ci sono state né le trentamila vittime né il terrorismo di stato. Nel video di dodici minuti diffuso dal governo si sentono le testimonianze di María Fernanda Viola, il cui padre fu ucciso da un gruppo armato nel 1974 (prima del golpe), dello scrittore e politico Juan Bautista Yofre e dell’ex guerrigliero Luis Labraña. Secondo il filmato, in quegli anni “il paese non ce la faceva più” ed esplose una “guerra” tra “mostri”. È stata mostrata “solo una parte” della storia ed è necessaria una “verità completa” per “guarire le ferite”.
Tuttavia il video non ricorda che, secondo la giustizia argentina, la giunta militare mise in atto un piano per sequestrare, torturare e sterminare un’intera parte della popolazione civile, né che i responsabili sono stati condannati per crimini contro l’umanità in una serie di processi cominciati nel 1985 e in alcuni casi ancora in corso. L’Argentina è un paese profondamente diviso, ma finora la condanna della dittatura era stata una delle rare eccezioni a questa frattura sociale. Jorge Rafael Videla, ideologo del regime del terrore, è morto nel 2013 ed è stato sepolto con un nome falso perché nessun cimitero voleva accogliere la sua salma.
Oggi le generazioni più anziane ricordano bene la vita durante il regime, ma i giovani considerano quell’epoca parte di un passato che non li riguarda. La priorità per loro è superare la crisi economica. “Tutti i miei compagni di scuola hanno votato per Milei. Più che cambiare la storia, vogliono lasciarsela alle spalle e pensare al futuro. Molti pensano di doversene andare dall’Argentina e danno la colpa ai politici”, ha detto Vanessa, 17 anni, che ha partecipato alla manifestazione.
La tensione era alta già alla vigilia dell’anniversario del 24 marzo. Un’attivista per i diritti umani ha denunciato di essere stata aggredita, imbavagliata e violentata in casa. “Non siamo qui per derubarti, ma per ucciderti”, le hanno detto gli aggressori, che hanno scritto su un muro “Viva la libertà, cazzo!”, una frase usata da Milei in campagna elettorale. La casa editrice Marea, che ha un ampio catalogo di libri sui diritti umani, ha subìto un attacco informatico, mentre la presidente delle Nonne di plaza de Mayo, Estela de Carlotto, ha detto che le sue conversazioni telefoniche sono state intercettate.
I dipendenti del ministero per i diritti umani hanno denunciato carenze di finanziamenti, ritardi nelle nomine e licenziamenti. “Non c’è nessun criterio, a parte la volontà di distruggere le politiche pubbliche per la memoria, la verità e la giustizia”, ha dichiarato Flavia Fernández Brozzi, rappresentante dei lavoratori del ministero.
Più potere alle forze armate
Milei vuole cambiare anche la gestione delle forze armate in vigore dal ritorno della democrazia. Il governo presenterà al parlamento una riforma della legge per la sicurezza interna, che autorizzerebbe l’intervento dei militari in situazioni come la guerra tra gruppi di narcotrafficanti in corso nella città di Rosario. Le forze armate hanno controllato la politica argentina per più di cinquant’anni, ma con il ritorno alla democrazia la loro influenza si è ridotta.
Nel 1985 il presidente della transizione democratica, il radicale Raúl Alfonsín, avviò i processi contro i gerarchi della dittatura. Nel 1991 questi militari beneficiarono di un indulto, approvato dal presidente peronista Carlos Menem. Nello stesso periodo fu avviato un processo per togliere fondi alle forze armate, con un ritorno delle truppe nelle caserme. Ora Milei vuole cambiare le cose. In controtendenza rispetto ai tagli imposti negli altri settori pubblici, vuole spendere per aggiornare l’equipaggiamento e la formazione dei militari.
“Ribadiamo che la partecipazione delle forze armate nei conflitti interni mette a rischio il rispetto dei diritti umani di tutti”, ha dichiarato Estela de Carlotto, 93 anni, parlando da un palco allestito a plaza de Mayo, a Buenos Aires.“Continueremo a difendere le politiche della memoria, della verità e della giustizia basate sul consenso democratico”, ha aggiunto.
La manifestazione del 24 marzo è stata la risposta della società civile al tentativo del governo di Milei di minimizzare e riscrivere il periodo più buio della storia dell’Argentina. ◆as
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Questo articolo è uscito sul numero 1556 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati