A uscire sconfitto dal dibattito elettorale del 27 giugno è stato il popolo statunitense, e stavolta è stato più doloroso del solito assistere alla rassegna di frasi fatte nel format ospitato dal canale televisivo Cnn. I patinati commentatori-moderatori hanno ignorato da subito l’elefante nella stanza: e cioè il fatto che uno dei due candidati alla presidenza sia un criminale condannato, che abbia guidato un tentativo di colpo di stato, che sia un presunto ladro di documenti riservati, riconosciuto colpevole di stupro in sede civile all’inizio di quest’anno, e che abbia promesso d’instaurare un regime autoritario se sarà eletto di nuovo. Invece hanno aperto il dibattito con i loro soliti temi preferiti in tempo di elezioni: il deficit e le tasse. Nel corso di tutta la straziante serata Joe Biden, con voce roca, ha parlato con cura, dicendo cose vere e sincere; Donald Trump, con toni roboanti, ha detto cose raccapriccianti e spudoratamente false. È stato uno spettacolo triste, che ci ha ricordato come in questo gioco lo stile conti più della sostanza.
I dibattiti elettorali sono un rito in cui vince lo spettacolo, non la verità, e dove i concorrenti sono valutati come in una gara sportiva. Prima del 2016 i faccia a faccia presidenziali erano eventi decorosi: i candidati non si risparmiavano colpi, ma rimanevano sempre entro i limiti della verità e della realtà, magari con qualche piccola esagerazione.
Il 27 giugno Joe Biden, con voce roca, ha detto cose vere e sincere; Donald Trump, con toni roboanti, ha detto cose raccapriccianti e false. È stato uno spettacolo triste
Poi è arrivato Trump. Non si può vincere un dibattito contro un bugiardo spudorato, perché in teoria bisognerebbe discutere di fatti e proposte. Una menzogna invece è una specie di veleno: una volta messa sul piatto l’impressione è che sia difficile tornare indietro, e se si prova a smontarla si finisce solo per amplificarla. Trump cambia con disinvoltura posizione su qualsiasi cosa, e mente sul proprio passato con una sfrontatezza patologica: in questo dibattito ha negato di aver fatto sesso con la pornostar Stormy Daniels e di aver elogiato i suprematisti bianchi che nel 2017 presero d’assalto Charlottesville. Ma soprattutto ha mentito – incontrastato, tranne che da Biden – sul suo ruolo nel tentativo di colpo di stato del 6 gennaio, e gli opinionisti della Cnn non l’hanno importunato ulteriormente chiedendogli dei suoi reati. Ha parlato di tutto quello che voleva: alle domande sulla crisi degli oppioidi, ha tirato fuori di nuovo le storie di reati sessuali e confini aperti che lo ossessionano e che esaltano i suoi seguaci. La bugia più scandalosa di tutte, ovviamente pronunciata da Trump e senza prove, è che l’aborto sfocerebbe nell’infanticidio. Non c’era da aspettarsi che da questo dibattito venisse fuori che un candidato sostiene da tempo i diritti riproduttivi mentre l’altro li attacca da anni.
I dibattiti esistono perché le persone possano ascoltare due proposte politiche, il che ha senso quando si tratta di persone relativamente poco note. Ma negli ultimi quarant’anni abbiamo avuto modo di ascoltare abbondantemente entrambi: Biden è entrato da giovane al congresso, Trump faceva già parlare di sé da giovane nella vita notturna di New York. Ed entrambi hanno ricoperto il ruolo più in vista del mondo per quattro anni.
Non avevamo bisogno di questo dibattito, perché il 2024 è diverso dalle altre tornate elettorali. Entrambi i candidati hanno avuto tutto il tempo per mostrarci chi sono, e uno dei due è un criminale che vuole distruggere la democrazia, il clima, l’economia e le alleanze internazionali. Per dirla con le parole del giornalista John Nichols, “la Cnn dimostra che un ‘dibattito’ per cui i moderatori rinunciano alla responsabilità di verificare in tempo reale la veridicità delle affermazioni e si rifiutano di contestare affermazioni false non è un dibattito. È un caos per cui le bugie sono messe sullo stesso piano della verità”.
Si è detto molto sull’età dei candidati, ma forse ancora più pericolosa è la senilità dei mezzi d’informazione. La loro ostinazione ad andare avanti facendo finta di nulla sta contribuendo a distruggere gli Stati Uniti. I giornali non hanno saputo o voluto comunicare all’elettorato che c’è in gioco il destino del paese. Trump ha schivato una domanda bonaria sulle azioni da intraprendere per il clima, e anche se la moderatrice Dana Bash l’ha riportato sull’argomento, lui ha risposto vantandosi che sotto la sua amministrazione abbiamo avuto l’aria e l’acqua “più pulite di sempre”.
In queste elezioni non c’è in gioco solo il destino di Washington, ma quello della Terra; nel 2016 gli Stati Uniti hanno minato la cooperazione globale sul clima eleggendo Trump. L’esperienza di Biden ha qualche ombra, ma ha raggiunto traguardi importanti. Ma ai giornalisti che hanno condotto il dibattito non importava delle sorti del paese o del pianeta più di quanto queste non stiano a cuore a Trump. Hanno messo in scena uno spettacolo, come se vivessimo ancora in un mondo che non esiste più. In questo modo hanno messo in pericolo il mondo in cui viviamo. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1570 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati