Fiamme nella notte. Urla che squarciano l’oscurità. Corpi carbonizzati e smembrati, anche di bambini, estratti da un cumulo di macerie. Le immagini pubblicate il 26 maggio sui social network dai palestinesi di Rafah ritraggono scene di orrore. L’accampamento di Barkasat, nella città meridionale della Striscia di Gaza, è stato bombardato dall’esercito israeliano, causando decine di vittime tra gli sfollati. A lungo sottoposta a bombardamenti aerei ma risparmiata dai combattimenti di terra, dal 7 maggio Rafah è teatro di un’offensiva israeliana, una nuova fase nella guerra lanciata per rappresaglia agli attacchi condotti da Hamas il 7 ottobre 2023. Secondo il ministero della sanità di Gaza le vittime sono almeno 45. La Mezzaluna rossa palestinese ha precisato su X che l’accampamento bombardato era stato indicato da Israele “come zona umanitaria”. Il luogo, situato nel quartiere di Tel al Sultan, non figurava tra le zone da cui l’esercito israeliano all’inizio del mese aveva ordinato l’evacuazione. Il campo era gestito dall’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi.

L’ong Medici senza frontiere si è detta “inorridita” da questo evento, che dimostra ancora una volta che “non ci sono luoghi sicuri” a Gaza. “Il massacro compiuto dalle forze di occupazione israeliane è una sfida a tutte le risoluzioni internazionali”, si è indignata la presidenza palestinese, che ha accusato Israele di aver “deliberatamente preso di mira” l’accampamento.

Il bombardamento di Barkasat è avvenuto poco più di quarantott’ore dopo che la Corte internazionale di giustizia (Cig) aveva ordinato a Israele di “fermare immediatamente la sua offensiva militare” a Rafah. Una decisione che non ha avuto nessun effetto. Qualche ora prima del bombardamento israeliano, Hamas aveva lanciato da Rafah otto razzi a medio raggio in direzione di Tel Aviv, senza provocare vittime. Erano i primi a prendere di mira la città da gennaio.

L’esercito israeliano ha rivendicato il bombardamento su Rafah nel nome della lotta contro Hamas, indicando che aveva come obiettivo due dirigenti del movimento islamista responsabili delle attività in Cisgiordania, Yassin Rabia e Khaled Nagar. Entrambi erano accusati di aver condotto “numerosi attacchi terroristici”, rispettivamente tra il 2001 e il 2002 e tra il 2001 e il 2003, che avevano provocato la morte di civili e di soldati israeliani.

Sfruttare i punti deboli

La strage di Rafah è avvenuta mentre cresce la pressione internazionale su Israele. Il 20 maggio, quattro giorni prima del pronunciamento della Cig, il procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan aveva chiesto un mandato d’arresto per i leader di Hamas Yahya Sinwar, Mohammed Deif e Ismail Haniyeh, per il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il suo ministro della difesa Yoav Gallant. Il 22 maggio Spagna, Irlanda e Norvegia hanno riconosciuto lo stato di Palestina.

Ma questa pressione internazionale ha i suoi punti deboli, che lo stato ebraico sta sfruttando. Nel suo ordine la Cig afferma che Israele deve “fermare immediatamente l’offensiva militare e qualunque altra azione condotta nel governatorato di Rafah che potrebbe imporre ai palestinesi di Gaza condizioni di esistenza in grado di condurre alla loro distruzione fisica totale o parziale”. Israele non legge nell’ordinanza dei giudici una richiesta stringente di fermare le operazioni. “Quello che ci viene chiesto è di non commettere un genocidio a Rafah. Noi non abbiamo commesso un genocidio e non lo commetteremo”, ha dichiarato il 25 maggio il consigliere per la sicurezza nazionale Tzachi Hanegbi in un’intervista al Canale 12.

Un altro punto debole è l’alleato statunitense. A metà maggio il segretario di stato Antony Blinken aveva dichiarato ad alcune tv statunitensi che se Israele “lanciasse una vasta operazione militare a Rafah, ci sono alcuni sistemi che noi non forniremo”. Ma il 22 maggio il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ha detto di non ritenere per il momento che ci sia una vasta offensiva su Rafah: “Quello a cui stiamo assistendo finora, in fatto di operazioni militari israeliane nella zona, è più mirato e limitato”. Alcuni ufficiali israeliani di ritorno dai combattimenti a Rafah hanno detto al New York Times il 25 maggio che Israele “usa una minor potenza aerea e di artiglieria, meno bombe e più piccole, costringendo i soldati israeliani a impegnarsi in una guerriglia urbana con i combattenti di Hamas”.

Anche se il bombardamento di Barkasat smentisce questa analisi, è improbabile che Israele metterà fine alle sue operazioni a Rafah. Per quanto riguarda il trasferimento degli abitanti della città, Wash­ington ha accettato un piano che si limita all’installazione di qualche migliaio di tende per circa un milione di sfollati. Queste persone si sono rifugiate nella zona di Al Mawasi, in riva al mare, e a Khan Yunis, in luoghi privi di latrine, rifornimenti d’acqua e sistemi fognari, “senza un campo adeguatamente allestito né attrezzato”, come ha detto un operatore umanitario che è andato nell’enclave.

Nel suo ordine la Cig aveva chiesto anche la riapertura del valico di frontiera di Rafah, controllato sul lato palestinese dall’esercito israeliano, cosa che ha suscitato la collera dell’Egitto. Le consegne degli aiuti umanitari, essenziali per Gaza, sono state interrotte dal 7 al 26 maggio, quando ha riaperto il terminal israeliano di Kerem Shalom. Altri aiuti stanno arrivando da un nuovo checkpoint nel nord della Striscia. Ma sono comunque insufficienti per arginare la crisi umanitaria e il rischio di carestia. “Riceviamo meno viveri, e i prezzi aumentano”, si preoccupa Kayed Hamad, che vive del nord della Striscia, dove l’accesso agli aiuti è stato in gran parte bloccato da quando la guerra è cominciata nell’ottobre del 2023. Il molo provvisorio costruito dall’esercito statunitense per trasportare più provviste a Gaza via mare sembra invece poco affidabile: quattro imbarcazioni si sono arenate il 25 maggio a causa del “mare agitato”.

Una società divisa

Sottoposta alla pressione internazionale, la società israeliana si divide sempre di più. La scoperta dei resti di alcuni ostaggi e il video del rapimento di cinque soldate compiuto dai miliziani di Hamas il 7 ottobre hanno spinto il governo a rimandare i suoi negoziatori in Europa. Alcuni mezzi d’informazione israeliani hanno riferito che nel corso di una riunione a Parigi il capo del Mossad David Barnea ha raggiunto un accordo con il direttore della Cia William Burns e il primo ministro del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman al Thani, su un nuovo quadro per i negoziati. Ma questi sforzi sono sabotati dai messaggi marziali del premier israeliano che il 26 maggio si è detto “fermamente contrario” alla fine della guerra nella Striscia di Gaza.

In questa atmosfera, un soldato israeliano a volto coperto ha pubblicato il 25 maggio un video in cui offre uno strano sostegno al capo del governo: “Primo ministro Benjamin Netanyahu, questo video è per lei. Noi, soldati riservisti, non abbiamo intenzione di consegnare le chiavi di Gaza a nessuna autorità palestinese, che si tratti di Hamas, di Al Fatah o di qualsiasi altra entità araba. I soldati riservisti la appoggiano, vogliamo vincere. Vogliamo la vittoria totale”. E ha aggiunto: “Yoav Gallant, non puoi vincere questa guerra”, rivolgendosi al ministro della difesa, che aveva scatenato un terremoto politico in Israele invocando un controllo palestinese dell’enclave dopo la guerra. Il 26 maggio il soldato è stato identificato e congedato. La sanzione è stata più rapida che per gli innumerevoli abusi (razzie, saccheggi, roghi di libri) commessi dai militari in servizio a Gaza, le cui immagini sono pubblicate sui social network. ◆ fdl

Da sapere

◆ Il 28 maggio 2024 i carri armati israeliani hanno raggiunto il centro di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, tre settimane dopo l’inizio di un’operazione di terra che secondo l’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati palestinesi, ha costretto alla fuga un milione di persone, in maggioranza sfollati. La protezione civile di Gaza ha annunciato la morte di ventuno persone in un bombardamento israeliano in un accampamento ad Al Mawasi, una zona che l’esercito aveva indicato come rifugio per le persone sfollate.

◆Lo stesso giorno un’inchiesta realizzata dal sito indipendente israeliano +972 Magazine e dal quotidiano britannico The Guardian ha rivelato che per quasi dieci anni Israele ha sorvegliato funzionari della Corte penale internazionale (Cpi) e operatori dei diritti umani palestinesi nel corso di un’operazione segreta per impedire le indagini del tribunale sui presunti crimini di guerra.

◆Il 25 maggio un soldato egiziano è stato ucciso in un incidente che ha coinvolto truppe egiziane e israeliane nella zona di frontiera vicino a Rafah, tra l’Egitto e la Striscia di Gaza. Afp


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Questo articolo è uscito sul numero 1565 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati