L’economista Augustín Velásquez, in un documento appena pubblicato dal Fondo monetario internazionale (Fmi), ha studiato la relazione tra la globalizzazione e le ore lavorate. La riduzione delle barriere doganali, delle tariffe e dei costi di trasporto favorisce l’aumento del pil e quindi fa crescere il reddito delle famiglie.
Lo studio ha analizzato un campione di paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) dal 1950 al 2014. Quando il reddito che è possibile ottenere da un’ora aggiuntiva di lavoro sale – perché è aumentata la sua produttività o perché è cambiato il contesto – una persona può scegliere di lavorare più ore (perché il riposo comporta un sacrificio monetario maggiore) o di ridurre le ore lavorate mantenendo lo stesso reddito di prima. Velásquez stima che la seconda scelta sia stata quella dominante e che con la globalizzazione abbiamo guadagnato, a seconda del paese, tra le 19 e le 91 ore di tempo libero all’anno.
Anche altri fattori hanno contribuito a ridurre le ore lavorate in questi decenni, ma la globalizzazione ha pesato tra il 2,5 e il 15,1 per cento. La spiacevole implicazione è che nel mondo meno globalizzato, plasmato da nuove tensioni geopolitiche, potrebbe toccarci lavorare di più. ◆
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1547 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati