Ai politici piace attribuirsi i meriti di una disoccupazione mai così bassa, in Europa (6,6 per cento) e in Italia (7,2 per cento). Ma questi dati sono meno esaltanti di quanto sembra, nota l’economista di Unicredit Marco Valli. Prima della pandemia, in Europa la produzione cresceva più rapidamente degli occupati, quindi la produttività aumentava. Negli ultimi quattro anni è successo il contrario: gli occupati salgono più della produzione, quindi la produttività risulta minore.
La produzione per persona si è ridotta, ma si è anche ridotto il numero di ore lavorate: in media un’ora in meno tra la fine del 2019 e la fine del 2023. Si sale a più di due nel settore pubblico, che è anche quello in cui l’occupazione è cresciuta di più (soprattutto nel 2023, quando il rimbalzo degli altri settori si esauriva). La sintesi è che lo sforzo di mobilitare risorse – da parte dei governi, dell’Unione europea e della Banca centrale europea – dopo la fine della pandemia ha sostenuto l’economia con assunzioni di dipendenti pubblici e finanziando il boom delle costruzioni (soprattutto in Italia), due settori a bassa produttività. L’economia europea e quella italiana, insomma, hanno retto, ma sono diventate più rigide e costose per i contribuenti, mentre la ripresa non ha portato dinamismo o nuove opportunità. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1555 di Internazionale, a pagina 102. Compra questo numero | Abbonati