“Bisogna agire ora o sarà troppo tardi: rischiamo un crac demografico. Se andiamo avanti con questo trend, senza riuscire a invertirlo, nel 2026 nel nostro paese nasceranno meno di 350mila bambini all’anno, il 40 per cento in meno del 2010. Un’apocalisse”. Ha reagito così la ministra della salute Beatrice Lorenzin alle anticipazioni degli ultimi dati sulle nascite in Italia.

Parole forti, ma che fotografano solo una parte del problema demografico italiano. L’altra faccia della medaglia sono gli anziani, sempre di più: secondo l’Istat oggi ci sono circa 158 anziani ogni 100 giovani. Gli ultrasessantacinquenni nel 1990 erano circa il 13 per cento della popolazione, oggi sono il 20 per cento del totale e nel 2043 saranno più del 32 per cento. Poi ci sono i morti, anche questi – per forza di cose – in aumento: nel 2015 ne sono stati registrati 653mila, 54mila in più dell’anno precedente. Un aumento pari al 9,1 per cento, dovuto soprattutto, secondo l’Istat, all’invecchiamento della popolazione.

Lo scenario demografico. È dagli anni settanta che in Italia non si fanno due figli per coppia, il numero necessario per garantire il ricambio generazionale. Il progressivo innalzamento dell’età media, da un lato, rende l’Italia uno dei paesi più longevi al mondo e, dall’altro, provoca picchi di decessi come quello del 2015, che non si vedevano dal secondo dopoguerra.

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A una popolazione che invecchia e non procrea si aggiunge il fenomeno dell’emigrazione: secondo l’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero) gli italiani all’estero sono aumentati del 49 per cento nell’ultimo decennio, passando dai 3,1 milioni di iscritti del 2006 ai 4,6 milioni del 2015. Secondo l’ultimo rapporto sugli italiani nel mondo della Fondazione Migrantes, molti migranti italiani sono giovani: oltre il 44 per cento ha tra i 25 e i 39 anni. A questi si aggiungono quelli che non si iscrivono all’Aire ma che comunque vivono all’estero: contando anche questi, le stime raddoppiano.

A fronte di un quadro tanto complesso, risulta difficile immaginare che la cura per il problema demografico in Italia sia aumentare il bonus bebè, come ha ipotizzato la ministra Lorenzin sull’onda dell’emozione.

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“Il bonus bebè non è sufficiente”, spiega Gian Carlo Blangiardo, professore ordinario di demografia all’università di Milano-Bicocca. “È come una pillola quando quello che serve è una terapia intensiva. All’Italia non serve una misura una tantum ma un intervento coordinato che vada a riformare tutti gli aspetti socioeconomici e culturali che ostacolano il ricambio generazionale”.

Il bonus bebè è come una pillola, mentre all’Italia invece serve una terapia intensiva

Una possibilità, secondo Blangiardo, è il ‘Piano nazionale per la famiglia’, un documento prodotto dall’Osservatorio nazionale sulla famiglia nel 2012 durante il governo Monti e da allora rimasto nei cassetti dei ministeri. All’interno di questo documento ci sono soluzioni provenienti da tutte le parti politiche per affrontare il problema demografico italiano.

Non bastano i figli degli immigrati per colmare il vuoto demografico. Non sono abbastanza (gli stranieri in Italia sono 5,5 milioni su 60 milioni di residenti e i flussi rallentano) e le donne straniere in Italia si stanno adattando al modello Italia: da una media piuttosto alta di 2,65 figli stranieri nel 2008 si è scesi rapidamente a 1,93 nel 2015. “Ben vengano i figli degli immigrati,” spiega Blangiardo. “Ma come mostrano i dati le donne straniere fanno sempre meno figli. Anche loro subiscono le mancanze del sistema Italia e per di più spesso non possono contare sull’aiuto dei nonni”.

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Per capire i problemi della demografia italiana bisogna indagarne le cause. Oltre ai livelli di disoccupazione giovanile molto elevati e al numero molto alto di neet (i giovani tra i 15 e i 29 anni fuori della scuola e senza lavoro o apprendistato), in Italia manca un ambiente stimolante per la maternità e la paternità. “Chi me lo fa fare? Questo si chiedono i giovani italiani,” spiega Blangiardo, “avere dei figli ha un costo, anche lavorativo. Attualmente non c’è conciliazione tra maternità e lavoro”.

Una donna che lascia il lavoro oggi per prendersi cura dei figli rischia di perdere il posto di lavoro.

Serve un piano di riforme che risponda alle esigenze delle giovani coppie e che incida sulla cultura di fondo che vede i giovani dipendere troppo dal sostegno di genitori e nonni. Un piano articolato che spazi dagli asili nido ai congedi parentali, anche per i papà; dalle garanzie per le madri lavoratrici alle politiche per la casa; dalle misure per il recupero dei neet a un welfare che aiuti le giovani coppie a crescere figli in serenità. Solo affrontando il problema demografico italiano nella sua globalità si può sperare di rivitalizzare il paese.

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