È il genere di incidente che svela le guerre nascoste in corso in Medio Oriente. Nessuno ha rivendicato l’attacco portato nella notte tra il 28 e il 29 gennaio da tre droni armati contro un complesso di fabbriche di armamenti a nord di Isfahan, nell’Iran centrale. L’esplosione è stata talmente potente da provocare una piccola scossa tellurica.
Non sappiamo molto altro. Le autorità, come prevedibile, minimizzano i danni e affermano di aver abbattuto i droni.
Ma questo non cancella un fatto tutt’altro che banale: tre droni armati sono riusciti a colpire una fabbrica di armamenti nel centro dell’Iran, un paese che oggi è coinvolto in diverse crisi: la guerra in Ucraina con la fornitura di droni alla Russia, la proliferazione nucleare vicina al momento della verità, le guerre d’influenza regionali e la rivolta dei giovani. Dunque c’è l’imbarazzo della scelta per interpretare questo atto di guerra contro Teheran, a cui inevitabilmente ne seguiranno altri.
Bersagli molteplici
Le autorità iraniane puntano il dito contro gli Stati Uniti e Israele, i due “Satana” abituali che si trovano regolarmente in cima alla lista dei nemici.
Ma la stampa statunitense afferma che è Israele il responsabile di questo attacco, il primo contro l’Iran da quando Benjamin Netanyahu è tornato al potere. Secondo il New York Times il raid sarebbe stato compiuto dal Mossad, i servizi segreti israeliani.
Resta da capire quale fosse il reale bersaglio dell’attacco. Le forniture di armi alla Russia? Il programma nucleare iraniano? Entrambi gli scenari sono perfettamente plausibili.
Da mesi non esiste più un reale negoziato sul nucleare, e le centrifughe iraniane operano a pieno regime
Gli occidentali hanno condannato la fornitura di droni iraniani alla Russia, utilizzati per attaccare le infrastrutture ucraine. Alla fine di dicembre il New York Times aveva rivelato che l’amministrazione Biden stava valutando la possibilità di limitare gli aiuti dell’Iran allo sforzo bellico russo. Ma Israele, impegnato a gestire i suoi rapporti con la Russia, non avrebbe motivo di correre simili rischi per un conflitto nel quale lo stato ebraico ha rifiutato di intromettersi.
Il programma nucleare è l’altro tema esplosivo. I tentativi europei e statunitensi di resuscitare l’accordo del 2015, da cui Donald Trump ha ritirato gli Stati Uniti, sono falliti. Da mesi non esiste più un reale negoziato, e le centrifughe iraniane operano a pieno regime avvicinando ogni giorno che passa l’Iran alla produzione di una carica nucleare. Israele è decisamente contrario a questo come ad altri programmi di armamento iraniani, per esempio la fabbricazione di missili, che secondo Tel Aviv minaccia la sua sicurezza.
I diversi ambiti di questa crisi sono collegati. Oggi, secondo gli esperti, l’Iran è una fortezza assediata, con un regime che si è ideologicamente inasprito. La portata della rivolta delle donne dopo la morte di Mahsa Jina Amini ha preoccupato seriamente i leader della repubblica islamica, che hanno scelto la repressione con centinaia di morti e condanne alla pena capitale. Questa reazione feroce ha ridotto il numero di manifestazioni.
L’irrigidimento interno si riflette nelle relazioni internazionali iraniane. La contropartita è il rischio di uno scontro. I droni su Isfahan sono solo un antipasto.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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