È giusto prendere sul serio gli allarmi provenienti dall’Estonia su una minaccia d’aggressione russa? L’Estonia è un paese di 1,3 milioni di abitanti che condivide con la Russia una frontiera lunga trecento chilometri. Nel 1940 il piccolo stato baltico fu occupato dall’Unione Sovietica, e ritrovò l’indipendenza nel 1991. Dunque gli non mancano certo le ragioni per avere paura dell’ingombrante vicino che mostra gli artigli.
L’ultimo atto della vicenda è arrivato quando Mosca ha deciso d’inserire la premier estone Kaja Kallas in una lista di ricercati, accanto ad altri alti funzionari baltici accusati di aver smantellato una serie di monumenti dedicati alla memoria dei soldati sovietici.
Sarebbe ridicolo se il contesto non fosse così drammatico, con la guerra in Ucraina in corso ormai da due anni, e se non ci fosse un chiaro legame con la storia personale di Kaja Kallas: la sua bisnonna, sua nonna e sua madre furono infatti deportate in Siberia nel marzo 1949, 75 anni fa. Per Kallas essere ricercata da Mosca ha un significato sinistro.
L’Estonia si considera un paese al fronte e ritiene che la Russia si stia preparando per una guerra con la Nato nei prossimi decenni. Per questo a Tallin sostengono che le contromosse adeguate andrebbero prese immediatamente.
I servizi segreti estoni basano le loro valutazioni sulla riorganizzazione dell’esercito russo e sui discorsi vendicativi di Vladimir Putin, che non ha mai accettato la fine dell’Unione Sovietica e della sfera d’influenza russa, soprattutto su un paese come l’Estonia in cui circa un terzo della popolazione è russofona.
Evidentemente questo non basta a correre il rischio di una guerra contro i paesi della Nato, un’alleanza militare i cui mezzi sono complessivamente ben superiori a quelli di Mosca. Ma esistono comunque diverse incognite, a partire dagli sviluppi della guerra in Ucraina, che Putin può ancora sperare di vincere, e dal contesto internazionale, come dimostrano le dichiarazioni recenti con cui Donald Trump ha sostanzialmente distrutto la credibilità della Nato.
Per questo l’Estonia si prepara al peggio e quest’anno ha portato le spese militari al 3,2 per cento del Pil, molto più del 2 per cento previsto dalla Nato. Tallin ha costruito circa seicento bunker sotterranei lungo la frontiera con la Russia. Kallas, evidentemente, non ha molto da temere dal mandato di cattura russo. Si tratta solo di un’intimidazione e di una risposta al mandato d’arresto per Putin della Corte penale internazionale.
Tuttavia, l’Estonia potrebbe subire gli effetti di una guerra ibrida condotta da Mosca. Nel 2007, dopo lo smantellamento di un monumento nella capitale dedicato alla gloria dei soldati sovietici, l’Estonia era stata vittima di una vera e propria ciberguerra, con tre giorni di attacchi che avevano paralizzato il paese. Da allora la sede del centro specializzato della Nato contro la guerra digitale è stata spostata a Tallin.
Soprattutto, l’Estonia sente di avere il compito di allertare il resto d’Europa, diffidente fino al 24 febbraio 2022. Già prima dell’invasione dell’Ucraina Kallas aveva definito “ingenui” gli sforzi del presidente francese Emmanuel Macron di addolcire Putin. Meglio Cassandre che morti: questa è sicuramente una sintesi brutale della filosofia estone, ma il peso di una storia tragica non può certo essere ignorato.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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