Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, ha preso la parola in tutti i momenti topici dopo il 7 ottobre e soprattutto ogni volta che il suo movimento ha incassato una sconfitta. Oggi è innegabile che Hezbollah abbia subìto un’umiliazione a causa dell’operazione israeliana che ha fatto esplodere i cercapersone e i walkie-talkie in Libano e perfino in Siria.
Il capo del movimento ha descritto l’azione israeliana senza precedenti come “una dichiarazione di guerra” e ha affermato che lo stato ebraico “ha superato ogni limite”. Tuttavia, come accaduto in occasione dei precedenti discorsi, si è limitato a promettere una risposta a tempo debito, senza fornire dettagli.
Aggiungendo la beffa al danno, i bombardieri israeliani hanno rumorosamente sorvolato Beirut subito prima del discorso di Nasrallah, mentre altri aerei hanno effettuato una settantina di raid in territorio libanese e siriano. Israele vuole far capire a tutta la regione di essere potente e di non temere il movimento sciita.
Siamo ormai entrati in una guerra a tutti gli effetti, come dimostra il fatto che questa settimana le vittime nei ranghi di Hezbollah hanno raggiunto il record dal 7 ottobre. Ma il conflitto è anche psicologico, un aspetto che è parte integrante dello scontro.
Hezbollah e Israele affrontano dilemmi diversi, ma comunque complessi. Il movimento filoiraniano sa di dover rispondere all’attacco se non vuole perdere definitivamente la faccia e la posizione egemone sulla scena politica nazionale. Ma Nasrallah, anche se parla di “dichiarazione di guerra”, non è ancora pronto a impegnarsi in un conflitto aperto con Israele da cui uscirebbe inevitabilmente indebolito, soprattutto dopo che le vulnerabilità del movimento sono apparse chiare.
In Israele il problema è diverso: la tentazione di lanciare un assalto massiccio per distruggere l’esercito e le infrastrutture di Hezbollah è grande, e negli ultimi giorni è cresciuta con la promessa fatta a decine di migliaia di residenti evacuati dal nord del paese di poter tornare a casa. Difficile che ciò succeda senza una guerra contro Hezbollah.
Tuttavia, gli alleati statunitensi di Israele non sono d’accordo, e l’opinione pubblica non è del tutto convinta. D’altronde le esperienze delle guerre passate in Libano dimostrano che raramente le cose vanno come previsto. Chi può impedire l’allargamento del conflitto? Una guerra tra Israele e Hezbollah non risolverebbe niente, e soprattutto non migliorerebbe la sorte degli ostaggi che sono ancora nelle mani di Hamas a Gaza e che molti israeliani considerano una priorità. Anche i rapporti di forza regionali non cambierebbero molto.
La verità è che nessuno dei protagonisti di questo faccia a faccia ha una strategia chiara. Hezbollah interpreta il ruolo di testa di ponte dell’Iran in Medio Oriente attraverso la sua postura militare e ignorando la diplomazia. Ma una postura non può mai costituire una strategia.
Il governo israeliano, dal canto suo, non vuole cedere alla pressione degli Stati Uniti affinché accetti un cessate il fuoco a Gaza, uno scenario che comporterebbe sicuramente una riduzione della tensione sugli altri fronti. Israele ha stupito il mondo con l’operazione dei cercapersone, degna di un film di spionaggio, ma non riesce a dimostrare che la sua sicurezza verrebbe rafforzata dall’ennesima guerra con Hezbollah in Libano. L’impasse, in questo momento, è totale.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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