Quarant’anni dopo la sua morte, il grande pianista rimane una presenza fondamentale della musica jazz. Leggi
Tomas è arrivato alla stazione di Roma da New Orleans con il suo clarinetto, si sente “più sporco che stanco” ma trova il tempo di riflettere sulle differenze tra Europa e Stati Uniti in fatto di jazz. Il video di Termini tv. Leggi
Tra le competenze che ogni jazzista deve avere, infatti, c’è la conoscenza di due o trecento brani musicali, gli standard, che insieme costituiscono un canone a cui attingere per accompagnare nei dischi e nei concerti le composizioni originali di chi suona. Leggi
Hoodoo blues & Roots Magic è un disco che trova il blues nella musica di Julius Hemphill, John Carter e Sun Ra. Ne coglie la dimensione del racconto, del rito e della danza, rintracciando in un repertorio jazzistico la voce più tipica del blues, che si nutre di ambivalenze e ambiguità, in bilico tra lacerazione, saggezza e ironia. Leggi
In Nerosubianco, Giorgio Rimondi racconta il jazz attraverso una selezione di fotografie, fuggendo dai cliché che l’hanno congelato in una coolness tra genio e sregolatezza. Tra cronaca, mito, realtà e immaginazione Rimondi ricostruisce contesti che offrono non solo nuovi sguardi sul mondo del jazz, ma anche un modo inedito di raccontarlo. Leggi
È morto a Manhattan all’età di 85 anni il sassofonista e compositore Ornette Coleman, tra i più grandi innovatori nella storia del jazz, considerato il padre del free jazz. La causa della morte è stato un arresto cardiaco, come ha scritto il New York Times che è stato avvertito dalla famiglia. “In parte grazie al suo esempio tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni sessanta, il jazz si sganciò dalle regole dell’armonia e del ritmo, e guadagnò una maggiore distanza dal repertorio delle grandi canzoni americane”, ha sottolineato il quotidiano newyorchese. La musica di Coleman viene così descritta in “semplici e sfuggenti melodie per piccoli gruppi con un linguaggio intuitivo e collettivo insieme”. Più che altro “una strategia per suonare senza sequenze precostituite di accordi”.
Nato il 9 marzo 1930 a Forth Worth, in Texas, Coleman cominciò a suonare nelle orchestre di rhythm’n’blues e bebop già alla fine degli anni quaranta. Si fece notare molto presto per lo stile non ortodosso con un approccio all’armonia e all’improvvisazione meno rigido dei bopper dell’epoca. Il suo disco di esordio, uscito nel 1958 per la Contemporary, è stato Something else!!! The music of Ornette Coleman in cui suonava già con quelli che sarebbero diventati i compagni artistici di una vita: il trombettista Don Cherry e il batterista Billy Higgins. La libertà dell’approccio melodico e la rivoluzione nella struttura armonica dei brani, introdotte nel primo album, furono presto confermate da altri titoli rimasti nella storia del jazz, come Tomorrow is the question!, The shape of the jazz to come, Change of the century.
Ma fu con l’album Free jazz: a collective improvisation, che Coleman battezzò indirettamente un movimento musicale, che si impose negli anni come un vero e proprio genere: il free jazz appunto. Quando esce, il disco – realizzato da un doppio quartetto jazz con Cherry e Freddie Hubbard alla tromba, Eric Dolphy al clarinetto basso, Charlie Haden e Scott LaFaro al contrabbasso, e Higgins ed Ed Blackwell alla batteria – è l’album più lungo di improvvisazioni mai registrato. A partire dagli anni settanta iniziarono le sue incursioni nel jazz elettrico, con ritmiche rock e funk. Nel 2007 per il suo album Sound grammar vinse il Pulitzer. “I musicisti bebop suonavano accordi, non suonavano movimenti. Io cercavo di suonare idee, accordi, movimenti e note non trasposte”, aveva detto Coleman in un’intervista recente.
Nel dicembre del 1964, il “quartetto classico” guidato da John Coltrane (McCoy Tyner al piano, Jimmy Garrison al basso ed Elvin Jones alla batteria) entrava ai Van Gelder Studios di Englewood Cliffs, New Jersey, per registrare A love supreme. Lʼalbum sarebbe stato pubblicato dalla Impulse! qualche tempo dopo, nel febbraio del 1965: cinquantʼanni fa esatti, e da allora è rimasto non solo il disco-simbolo di quello che fan e devoti chiamano semplicemente Trane, ma uno tra i titoli più venerati, amati e studiati dellʼintera storia del jazz – oltre che una delle presenze più riconoscibili nelle collezioni degli ascoltatori di ogni dove. Leggi
Capita a tutti, per necessità o per voglia, di improvvisare: una cena, un brano musicale, una soluzione estemporanea. Leggi
All’ombra di Tarantino, in questi giorni un altro Django sarà celebrato in tutto il Belgio: il chitarrista manouche Django Reinhardt, nato 103 anni fa in un angolo sperduto della Vallonia. Leggi
Inserisci email e password per entrare nella tua area riservata.
Non hai un account su Internazionale?
Registrati