L’8 maggio la corte d’appello di Hong Kong ha vietato la canzone Glory to Hong Kong, resa popolare dal movimento per la democrazia nel 2019, nella prima sentenza di questo tipo da quando l’ex colonia britannica è stata restituita alla Cina, nel 1997.
“La richiesta dell’esecutivo locale di vietare la diffusione o l’esecuzione della canzone è stata accolta”, ha scritto il giudice Jeremy Poon nel testo della sentenza.
“Il divieto della canzone è una misura legittima e necessaria per garantire la sicurezza nazionale”, ha affermato Lin Jian, portavoce del ministero degli esteri cinese.
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La richiesta, presentata dall’esecutivo di Hong Kong nel giugno scorso, era stata respinta da un tribunale di primo grado a luglio in nome della libertà d’espressione.
Ma l’8 maggio la corte d’appello ha dato ragione all’esecutivo. “Chi ha composto la canzone voleva renderla un’arma, ed è questo che è diventata”, ha scritto Poon.
Secondo l’avvocato Benjamin Yu, che ha rappresentato l’esecutivo nelle udienze, “la canzone costituisce una forma di disinformazione e propaganda”.
Poche ore dopo la sentenza l’esecutivo di Hong Kong ha chiesto alle principali piattaforme digitali di rimuovere la canzone, almeno per gli utenti del territorio.
“L’esecutivo contatterà direttamente le piattaforme per chiedere il rispetto della sentenza”, ha affermato Paul Lam, segretario alla giustizia di Hong Kong.
Dall’entrata in vigore nel 2020 della legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong, integrata nel marzo 2024 da una seconda legge, nel territorio sono state arrestate più di 290 persone, 114 delle quali sono state condannate a pene detentive.