Ho invitato la mia gatta a guardare la tv, sintonizzandoci su un programma pensato per i felini: lunghe sequenze a inquadratura fissa su uccellini che svolazzano, pesciolini che nuotano e topolini che attraversano rapidi lo schermo. L’esperienza non le ha suscitato alcun interesse, mentre io ci sono cascato dentro a peso morto. Piano piano quell’attenzione non frantumata è diventata un’esperienza contemplativa. Gli scatti rapidi e casuali del passero mi hanno ipnotizzato, come accade davanti ai canali che trasformano lo schermo in un camino crepitante, con la virtù di suscitare in noi esseri suggestionabili la sensazione di calore. La “slow tv”, nata qualche anno fa in Norvegia con la diretta seguitissima di un viaggio in treno lungo nove ore, si sta espandendo. Cerimonie del tè, navigazioni sui fiordi, passeggiate notturne nelle foreste canadesi, transumanze (disponibili su RaiPlay) trasformano la tv in un paradossale strumento detox, in una versione casalinga di mindfulness, con implicazioni filosofiche altissime: l’essere-nel-mondo per fare esperienza del divenire che, anche se non so bene cosa voglia dire, edulcora il senso d’ipnosi di questa sospensione dal contenuto e dall’accadere. Il rallentamento seduce lo spettatore, lenisce le nevrosi e infonde un senso d’inebetimento e di libertà con effetti apparentemente benefici. Almeno per me, perché credo che la gatta sperasse in un film. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1600 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati