Mohamed Maalel
Baba
Accento, 264 pagine, 16 euro

Qualche tempo fa, con la scrittrice italo-somala Ubah Cristina Ali Farah, ci siamo interrogate sulla scarsità di autori e scrittori tra le file, per lo più femminili, delle penne di seconda generazione o di letteratura postcoloniale. Anche per questo non mi sono fatta sfuggire questa rara eccezione: l’esordio di Mohamed Maalel, classe 1993. Se la mia teoria su questo sbilanciamento aveva a che fare con la maternità, il senso di comunità e quindi il lavoro di cura spesso attribuito alle donne migranti, Maalel porta la narrazione delle tematiche identitarie e multiculturali sulla paternità. Certo, non manca l’immagine di una madre che “si ricopriva di vestiti usati per riempire una vita già usurata, usata da altri”, ma l’intero romanzo è una confessione a un uomo che non sa se chiamare “baba o papà”. Con una scrittura dettagliata, l’autore italotunisino riporta un resoconto – a tratti integrato con pagine di diario e appunti – della vita di Ahmed Moemi, nato già grande, diviso a cominciare dal nome. Non ci sono particolari guizzi nella narrazione, ma sono interessanti i dialoghi del protagonista con il padre, precisi nella resa sulla pagina: il codice linguistico di un immigrato crea un’interlingua tra quella nativa e quella bersaglio, che in questo caso è adagiata su una piega tra l’andriese e l’arabo. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1511 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati