Tutto comincia con un attacco di panico. Le prime pagine del secondo romanzo di Nikolai Prestia sono accurate e allo stesso tempo divertenti nel descrivere un evento psicofisico che in pochi, compreso il protagonista Marco, riuscirebbero a condensare in parole sensate. Tra le corsie di un pronto soccorso che somiglia a un ospizio e al preludio di un cimitero, il trentaduenne Marco viene preso in cura da uno psicoterapeuta. Per il tempo di quattro sigarette dell’ultimo pacchetto che il ragazzo si è ripromesso di fumare, il terapeuta lo invita a ripercorrere gli anni universitari. In un lungo flashback, che a tratti sembra un nastro riavvolto troppo velocemente, Marco ricorda il periodo a Siena, dove si era trasferito da un paesino calabrese per frequentare l’università. Quella scelta è accompagnata dal sacrificio economico, dalla pressione a ottenere risultati, dagli abbandoni degli amici e dalla competizione degli altri studenti. Questi pesi si fanno macigni e diventano il metro di giudizio del fallimento, schiacciando uno studente che è sempre stato brillante, un bravo ragazzo, e costruendo sulle sue spalle una menzogna. Con una prosa diretta Prestia racconta l’inadeguatezza, la paura di deludere, il timore del fallimento di più di una generazione, a cui il successo continua a essere raccontato in termini di velocità, denaro o popolarità. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1581 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati