Negli Stati Uniti la spesa totale per ricerca e sviluppo nel 1980 era pari a circa il 2,2 per cento del pil; oggi è salita al 3,4 per cento. Quella nel settore privato è quasi raddoppiata, dall’1,1 per cento al 2,5 per cento. Secondo la teoria economica, maggiori investimenti in innovazione portano a maggiore produttività. Invece no. Tra il 1960 e il 1985 la produttività saliva in media dell’1,3 per cento all’anno; nei quasi quarant’anni seguenti la crescita è stata quasi sempre più bassa, non più alta.

Come si spiega questo paradosso? In un recente articolo per il Fondo monetario internazionale Ufuk Akcigit, economista dell’università di Chicago, suggerisce una spiegazione: negli ultimi decenni la spesa in ricerca e sviluppo è stata concentrata soprattutto nelle grandi aziende, che hanno speso miliardi non per produrre innovazione radicale, ma per evitare l’ascesa di giovani concorrenti pericolosi.

Un’attività di ricerca e sviluppo difensiva ha meno ricadute positive di quella fatta da startup con idee davvero nuove. Un’analisi da tenere presente mentre in Europa si stanziano miliardi, a livello nazionale e comunitario, per sussidi alla ricerca. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1581 di Internazionale, a pagina 102. Compra questo numero | Abbonati