La storia di Imane Khelif, la pugile algerina che ha battuto in meno di un minuto l’italiana Angela Carini alle Olimpiadi di Parigi, ha dei tratti familiari, che fanno pensare a casi simili accaduti in passato: quando le donne vincono nello sport, soprattutto in discipline considerate appannaggio degli uomini, possono essere accusate di essere degli uomini o di essere transgender. Ma questa volta ci sono degli elementi di novità nella vicenda su cui si è espresso perfino Elon Musk e il candidato repubblicano alle presidenziali negli Stati Uniti Donald Trump.
È successo spesso in passato – per esempio alla campionessa di tennis statunitense Serena Williams o alle velociste Caster Semenya e Dutee Chand – che sulle campionesse siano stati sollevati dei dubbi, ancora più spesso se si tratta di donne non bianche, donne cioè con corpi razzializzati, non conformi allo standard occidentale e ai canoni di “femminilità” dominanti.
Verrebbe da dire che questo non vale solo per lo sport: in ogni ambito le donne che vincono possono essere considerate “poco femminili” dalla cultura dominante. Nello sport, tuttavia, possono essere sottoposte a visite mediche ed esami genetici e ormonali per accertarne l’identità di genere, in base a dei parametri spesso arbitrari.
In questo caso la novità è che le calunnie su Khelif, riprese anche da una lunga schiera di politici di estrema destra italiani, tra cui la presidente del consiglio Giorgia Meloni, arrivano da una fonte poco affidabile e già screditata, e allungano l’ombra dei legami con la Russia di Vladimir Putin, secondo quanto ricostruito dall’agenzia di stampa Associated press.
Quasi 17 mesi fa a New Delhi, in India, la pugile algerina è stata squalificata dai campionati mondiali della International boxing association (Iba) tre giorni dopo aver vinto un incontro al primo turno con Azalia Amineva, una boxer russa che non era mai stata battuta prima di allora.
L’Iba ha affermato che Khelif e un’altra pugile, Lin Yu-ting, taiwanese, non fossero riuscite a “soddisfare i criteri di ammissibilità richiesti e che avevano vantaggi competitivi rispetto ad altre concorrenti donne”. E ha affermato che le due atlete non avevano superato dei test d’idoneità, ma sulla consistenza di questi test non è stato fornito alcun dettaglio. Da tempo tuttavia l’Iba ha perso credibilità per la sua mancanza di trasparenza, sotto la guida del russo Umar Kremlev e per i forti legami con la criminalità russa e con Vladimir Putin.
Per questo lo scorso anno l’Iba è stata esclusa in maniera permanente dalle Olimpiadi e molti paesi (almeno trenta) ne sono usciti. Tuttavia,nel caso che ha riguardato Khelif, in molti hanno ritenuto l’Iba una fonte autorevole e il Comitato olimpico internazionale ha dovuto difendere le atlete Khelif e Linn, e rigettare ogni accusa sulla loro identità di genere.
“Queste due atlete sono state vittime di una decisione improvvisa e arbitraria da parte dell’Iba”, ha dichiarato il portavoce del Comitato olimpico Mark Adams.
Il 3 agosto il presidente del Comitato olimpico internazionale Thomas Bach ha affermato che è “inaccettabile” l’incitamento all’odio e l’hate speech che le due atlete hanno subìto in una campagna che ha evidentemente delle motivazioni politiche e rinfocola l’ostilità dell’Iba verso le Olimpiadi da cui è esclusa.
La maggior parte delle squadre di boxe occidentali sono uscite dall’Iba per fondare la World boxing, un nuova organizzazione,dopo che circa sei anni fa è stato eletto presidente Gafur Rakhimov, un uomo d’affari uzbeko considerato un boss della criminalità organizzata.
Rakhimov si è dimesso nel luglio 2019 e ha lasciato il posto a Kremlev, un funzionario russo del mondo della boxe, conoscente personale del presidente Putin. Kremlev ha introdotto Gazprom, la compagnia petrolifera di stato russa, come principale sponsor dell’organizzazione e ha trasferito gran parte delle operazioni dell’Iba in Russia dalla fine del 2020.
Non sorprende che, come spesso è accaduto in passato, si sia provato a risolvere controversie politiche e geopolitiche di varia natura, come quella tra Iba e Coi, attaccando una donna che vince, speculando sul suo corpo e sulla sua sessualità. Purtroppo, trovando ancora fin troppo seguito.
Questo testo è tratto dalla newsletter Frontiere.
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