Sta succedendo qualcosa che non ha precedenti nella storia israeliana. Mentre una guerra non si è ancora spenta del tutto, Tel Aviv sta già provocando la successiva. Ci è stato negato il lusso di avere un momento per respirare, un po’ di illusione e di speranza. L’orizzonte “diplomatico” di Israele ora consiste solo in una guerra dopo l’altra, senza prendere in considerazione alternative. Ne ha almeno tre in programma: riprendere quella a Gaza, bombardare l’Iran e scatenare un conflitto in Cisgiordania. Quest’ultimo lo sta alimentando già dal 7 ottobre 2023.

Quando scoppierà la terza intifada la gente dovrebbe ricordare chi l’ha provocata. E denunciare gli attentati mortali che hanno colpito Israele non cambierà la realtà: la demonizzazione degli “animali umani” in Cisgiordania, parenti di quelli di Gaza. Solo Israele sarà responsabile della prossima guerra in Cisgiordania. Gli israeliani non potranno dire di essere stati colti di sorpresa; non potranno dire che non sapevano. È un destino già scritto, in lettere di fuoco e sangue, da sedici mesi. E nessuno lo sta fermando. I mezzi d’informazione a malapena ne parlano.

Questa non è più la Cisgiordania che conoscevamo. Le cose sono cambiate. L’occupazione israeliana – che non è mai stata esattamente progressista – è diventata più brutale che mai. Il giorno dopo gli attentati di Hamas del 7 ottobre ha di fatto rinchiuso in una prigione i tre milioni di abitanti della Cisgiordania. Da allora almeno 150mila persone – in maggioranza lavoratori manuali diligenti e coscienziosi – hanno perso la loro fonte di sostentamento. Non avevano niente a che fare con il massacro lungo il confine di Gaza. Cercavano solo di provvedere ai bisogni delle loro famiglie. Ma Israele gli ha tolto la possibilità – che difficilmente riavranno – di vivere una vita dignitosa. Centinaia di migliaia di persone sono state condannate a una vita di miseria. E i più giovani non resteranno in silenzio.

Questo è solo l’inizio. La Cisgiordania è stata sigillata anche al suo interno. Circa novecento posti di blocco – alcuni permanenti, altri temporanei – l’hanno smembrata, insieme alla vita dei suoi abitanti. Ogni tragitto da una comunità all’altra è diventato una roulette russa: il checkpoint sarà aperto o chiuso? Una volta ho passato sei ore in attesa al posto di blocco di Jaba. Dietro di me c’era uno sposo diretto al suo matrimonio. Alla fine la cerimonia nuziale è stata annullata. Le strade della Cisgiordania si sono svuotate.

I posti di blocco sono solo una parte del quadro. Qualcosa è cambiato anche tra i soldati dell’occupazione. Forse invidiano i loro colleghi a Gaza, o forse questo è semplicemente lo spirito che prevale oggi nelle forze armate israeliane. Ma la maggior parte di loro non aveva mai trattato i palestinesi come fa oggi. Non è solo il grilletto facile o l’uso di armi mai usate prima in Cisgiordania, come gli aerei da combattimento. È soprattutto il modo in cui guardano i palestinesi: “animali umani”, proprio come dicevano della gente di Gaza. In questo contesto i coloni e chi li appoggia si sono fatti avanti. Per loro è una storica opportunità. Vogliono una guerra su vasta scala in Cisgiordania per poter realizzare, sotto la sua copertura, il loro grande piano di espulsioni di massa. È agghiacciante che questo sia l’unico progetto di Israele per risolvere la questione palestinese.

Nel frattempo non passa settimana senza che spunti un altro avamposto non autorizzato dei coloni: una capanna circondata da migliaia di ettari di terreno rivendicati per il “pascolo”. Non passa un giorno senza un altro pogrom. Gli attacchi funzionano. Le parti più deboli della società palestinese della Cisgiordania – i pastori – semplicemente cedono. Intere comunità stanno abbandonando le terre dei loro antenati, fuggendo terrorizzate dai gangster con la kippah. E poi è arrivato il momento dell’espulsione organizzata degli abitanti dei campi profughi.

Non dite che non c’è un piano. Il piano c’è, ed è mostruoso. Consiste nello svuotare tutti i campi profughi della Cisgiordania e raderli al suolo. È questa la “soluzione” al problema dei rifugiati. È cominciata con lo smantellamento dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) e sta continuando con le ruspe. Sono state già espulse quarantamila persone. Le case di alcune di loro sono già state demolite. Tre campi profughi nel nord della Cisgiordania oggi sono lande desolate, svuotate di vita.

Questa non è una guerra al terrore. Non si combatte il terrorismo distruggendo i condotti dell’acqua, le reti elettriche, le strade e i sistemi fognari. Questa è la distruzione sistematica dei campi profughi. Non si fermerà ai campi di Nur al Shams a Tulkarem, o a quelli di Askar e Balata, vicino a Nablus. Proseguirà fino alla fine, arrivando al campo di Al Fawwar, vicino Hebron, nel sud della Cisgiordania, finché non rimarrà più niente. Questo è quello che Israele sta facendo oggi, tanto per essere chiari. Una nakba.

(Traduzione di Francesco de Lellis)

Questo articolo è uscito sul quotidiano israeliano Haaretz.

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