Come studioso di antisemitismo mi ha colpito la frequenza con cui la parola pogrom è stata usata nell’ultimo anno. Subito dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre la ricerca online della parola è aumentata del 900 per cento. Nei due giorni successivi ai fatti di Amsterdam l’aumento è stato del 650 per cento. La parola evoca storie impresse nella memoria collettiva ebraica. Oggi molti la usano per interpretare gli eventi recenti. Ma questo è sbagliato e fuorviante.
Il termine pogrom, dal verbo russo gromit – saccheggiare, distruggere –, è entrato nell’uso comune della lingua inglese all’inizio del novecento, quando si diffusero le notizie delle atrocità commesse contro gli ebrei nella Russia imperiale. I pogrom erano azioni violente compiute da parti della popolazione contro una minoranza razzializzata e priva di diritti o di protezione statale. L’intenzione era mantenere quella minoranza “al suo posto”. Nella guerra civile russa del 1917-1921, più di centomila ebrei furono assassinati in quella che allora fu la più feroce ondata di violenza antisemita nella storia ebraica moderna.
Gli studi sui pogrom sono tantissimi. Quali sono le definizioni prevalenti? Secondo lo storico Hans Rogger i pogrom avvengono quando i meccanismi dello sfruttamento strutturale di una popolazione minoritaria cominciano a essere allentati o messi in discussione. Per David Engel i pogrom implicano “azioni violente collettive commesse da chi si ritiene parte di un gruppo etnico o religioso di rango superiore su chi considera parte di un gruppo di rango inferiore o subalterno”. In altre parole: ci sono stati pogrom contro gli ebrei nelle regioni d’Europa dove erano strutturalmente discriminati, dove la legge proibiva la loro piena partecipazione alla vita civile e politica e dove erano considerati portatori di valori e ideologie estranei al resto della società.
Parole che contano
Descrivere le violenze commesse ad Amsterdam contro i tifosi israeliani come un pogrom è sbagliato per quattro ragioni. Innanzitutto dai video disponibili si vede che i sostenitori del Maccabi Tel Aviv sono stati attaccati non in quanto ebrei, ma in quanto israeliani. La parola pogrom, quindi, confonde antisemitismo e antisionismo. In secondo luogo, all’inizio della giornata i tifosi del Maccabi sono stati filmati mentre gridavano “Finite gli arabi! Vinceremo!”. Una bandiera palestinese è stata bruciata. Un tassista è stato aggredito. Questo contesto è stato ampiamente trascurato. Un pogrom comporta che ci siano una vittima e un carnefice. In terzo luogo, descrivere quegli attacchi come un pogrom ci porta a ignorare la grande differenza tra lo status degli ebrei in Europa un secolo fa e il loro posto in Israele oggi, dove sono la maggioranza in uno stato che vanta uno degli eserciti più formidabili del mondo. L’analogia del pogrom ci porta a immaginare un mondo popolato per sempre da ebrei assediati e dai loro potenti nemici. La realtà oggi è diversa, come dimostra la devastante guerra di Israele contro Gaza. In quarto luogo, la parola pogrom è stata vergognosamente messa al servizio del razzismo. Invece di combattere l’antisemitismo, tutto ciò non fa che rafforzare ulteriormente il razzismo.
La parola pogrom non solo è inadatta al compito di spiegare la notte del 7 novembre, ma rende un cattivo servizio alla storia ebraica e ci impedisce di comprendere le atrocità commesse oggi. ◆ sm
Brendan McGeever è uno studioso di antisemitismo e razzismo, insegna sociologia all’università di Londra. Ha scritto questo testo su X.
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Questo articolo è uscito sul numero 1589 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati