Il 1 gennaio si festeggerà il centenario della repubblica turca. Per molti versi il 2023 sarà un anno epocale, perché sarà anche un anno elettorale. L’anniversario è una delle cinque ragioni fondamentali per cui il presidente Recep Tayyip Erdoğan sarà rieletto. Una sua vittoria nell’anno del centenario manderebbe il messaggio che la nuova Turchia – contrapposta a quella vecchia creata da Mustafa Kemal Atatürk – è qui per durare. Questo risultato segnerebbe il culmine della deoccidentalizzazione del regime.

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Il presidente sarà costretto a vincere le elezioni perché, in caso contrario, dovrebbe rispondere in tribunale a gravi accuse di corruzione e violazione della costituzione durante i suoi vent’anni di mandato. E potrebbe avere problemi con la Corte penale internazionale per le campagne militari nei paesi vicini. Non può correre questo rischio.

Le masse che appoggiano il regime sono d’accordo con i sistemi di governo dittatoriali. Inoltre, anche se economicamente insoddisfatte, non vedono alternative

La sua rielezione è probabile anche a causa dei limiti dell’opposizione che, con l’ovvia eccezione del Partito democratico dei popoli (Hdp), è incapace di far fronte comune dietro a un candidato forte. Non è emerso alcun leader in grado di uguagliare il carisma di Erdoğan, che fa presa non solo sul suo elettorato. Inoltre, il programma dell’opposizione si basa su due argomenti: sbarazzarsi del presidente e prendere le distanze dall’Hdp o dai curdi in generale. Questo non basta per convincere i cittadini insoddisfatti, in particolare i giovani.

Un altro motivo è l’elettorato di Erdoğan, le cui motivazioni non possono essere ridotte a una specie di utilitarismo basato sul clientelismo e sui sussidi che il regime ha elargito negli anni. Le persone che appoggiano il regime sono d’accordo con i metodi dittatoriali di chi governa. Inoltre, anche se economicamente scontente, non vedono alternative a Erdoğan.

Le altre ragioni alla base dell’inevitabile successo del presidente risiedono nel sostegno esterno. Le dinastie petrolifere del Medio Oriente e il presidente russo Vladimir Putin si sono impegnati a sostenere Erdoğan e l’economia turca in difficoltà per garantire la sua rielezione. Guardando i conti del paese c’è il sospetto che arrivino molti finanziamenti occulti. Il più interessato è Putin, che ha un’occasione d’oro per continuare a seminare zizzania nella Nato.

Ma non sono solo le autocrazie ad appoggiare Erdoğan. L’occidente lo sostiene indirettamente chiudendo un occhio sul comportamento aggressivo del regime all’interno e all’esterno della Turchia, per “mantenere” il paese nella Nato. La stravaganza di Erdoğan, il suo eterno vittimismo, le minacce alla Grecia e le operazioni militari contro i curdi sono perdonate.

Un’altra ragione risiede nella complessa ingegneria elettorale, che non lascia niente al caso. In questa rientrano aspetti come la burocrazia, i collegi elettorali e i relativi regolamenti. Il Supremo consiglio elettorale (Ysk) sta nominando giudici favorevoli al regime. Anche i presidenti delle commissioni elettorali saranno composti da giudici nominati dal governo. Le urne e le commissioni, pertanto, saranno sotto il diretto controllo di Erdoğan.

Il consiglio e le commissioni elettorali potranno usare qualsiasi pretesto per non ammettere un candidato. Questo impedirebbe all’opposizione di partecipare alle elezioni in determinate circoscrizioni. Per quanto riguarda il conteggio dei voti, il consiglio ha collaborato con un’azienda turca specializzata in difesa e software, la Havelsan. Non serve la sfera di cristallo per prevedere il risultato.

Inoltre, il fatto che Süleyman Soylu sia stato confermato al ministero dell’interno e che un fedelissimo di Erdoğan, Bekir Bozdağ, sia rimasto alla giustizia permette al governo di controllare saldamente il sistema e il paese. L’attentato nel centro di Istanbul del 14 novembre scorso, probabilmente architettato dall’apparato di Soylu, lascia presagire la violenza futura. Anche le milizie non ufficiali del regime saranno pronte a intervenire nei giorni delle elezioni.

Infine, il governo è consapevole di raccogliere poco consenso nella generazione z, i nati tra il 1992 e il 2012, sensibili al cambiamento climatico, ai diritti lgbt, a quelli degli animali e così via. È alla luce di questa paura che va compresa l’opposizione del ministero dell’interno alla creazione del Partito verde. Con la stessa logica va letta la legge sulla censura dei social network. La campagna elettorale favorirà ancora una volta il regime grazie alla principale fonte d’informazione dei turchi: la televisione.

Erdoğan è diventato un dittatore eletto dopo la riforma del regime che nel 2018 ha creato un sistema presidenziale senza pesi e contrappesi. Questo significa che ci sono persone che eleggono felicemente il loro dittatore. E il resto dell’elettorato mugugna ma alla fine s’inchina, disperato, al dittatore e al suo regime. ◆ ns

Cengiz Aktar è un saggista turco e professore di scienze politiche all’università di Atene. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Il malessere turco (Il Canneto 2022).

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Questo articolo è uscito sul numero 1489 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati