Nella seconda stagione di The bear, serie incentrata sulle vicende di un cuoco italo-americano a Chicago con una colonna sonora rassicurante a base di R.E.M e Counting Crows, una delle protagoniste cerca ispirazione per il nuovo menù del ristorante e si sfonda di cibi eclettici in ogni tipo di tavola calda. Alla fine ha quasi le visioni: mescola cibi, colori, l’architettura dei palazzi, tra bagliori e linee che ispireranno nuove ricette. Quando le presenterà, dirà di aver pensato a un miscuglio di elementi, forse troppi, mettendo insieme acqua e terra, aria e fuoco.
Ascoltando Layers di Khalab, uscito per Hyperjazz Records, viene in mente un processo visionario simile, anche se nel disco tutto viene dosato in maniera più equilibrata rispetto alla confusione che fa la chef di The bear. Ma si sentono un’apertura al mondo, una velocità d’intuizione e una disposizione al “mangiare” cose derivate da metodi e lavorazioni lontani, che rendono l’ascolto di questo disco un’esperienza materica, nonché elegante e immediata.
È così a partire dal brano di apertura Drone Ra, con il contributo della trombettista Yazz Ahmed e la voce di Alessia Obino, che fissa il mood dell’album e serve quasi per scostare le tende del sipario, anticipando le nervature di Female side (in collaborazione con il batterista Tommaso Cappellato) e Tribal noise, in cui Khalab – autore dell’acclamato Black noise 2084 – ripropone il suo talento per il mescolamento e l’assorbimento, creando ambienti in cui svolti l’angolo in un club e prima sei nel deserto, poi sei nella giungla ed è quasi sempre notte. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1527 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati