Dopo aver sprecato la sua grande opportunità nella Striscia di Gaza, Israele sta per fare lo stesso in Libano. Quando si tratta di guerra, Israele ne coglie sempre l’opportunità. C’è un problema a Gaza? Guerra. Ce n’è uno sul confine settentrionale? Un’altra guerra. Molti israeliani sono euforici. In fondo, aspettavano da anni una simile occasione. Altri la sostengono in silenzio, sotto una cappa opprimente, e quasi tutti sono convinti che non ci sia alternativa.

Una cosa è considerare la guerra una orrenda necessità, un’altra è vederla come un’opportunità, per plasmare un nuovo mondo, una nuova – migliore – realtà. Hamas sarà sradicato, gli ostaggi liberati e Hezbollah sarà messo in ridicolo. Gli abitanti evacuati dal nord torneranno alle loro case, la Galilea prospererà e i suoi fiori risplenderanno, così come le comunità lungo la frontiera con Gaza. Che opportunità meravigliose offre la guerra.

Nessuno è scoraggiato dal fatto che nemmeno una di quelle combattute da Israele abbia mai risolto i suoi problemi o migliorato la sua situazione (anzi alcune, come nel 1967, l’hanno peggiorata, anche se non si vuole ammetterlo). Basta aspettare la prossima. Che risolverà tutti i nostri problemi una volta per tutte.

Un tempo si diceva “vittoria totale”, oggi si dice “una volta per tutte”. Dopo aver sconfitto Hamas, una volta per tutte, Israele sconfiggerà anche Hezbollah, una volta per tutte. Il problema è che il risultato è sempre qualche anno di pace seguito da una guerra peggiore di quelle precedenti. I sostenitori di quella in Libano affermano di voler vedere ancora una volta l’esercito israeliano alle porte di Beirut perché è una grande opportunità. Dopo gli attacchi contro Hezbollah del 17 e 18 settembre, hanno invitato i loro leader ad agire. Dopo tutto, dicono, non ricapiterà l’occasione di mettere a segno un colpo come quello dell’esplosione dei cercapersone in cui sono state accecate cinquecento persone. Allora, cosa diavolo state aspettando per cominciare questa guerra?

L’idea stessa di considerare la guerra come l’unico e più importante strumento di soluzione dei problemi indica una distorsione mentale. Ma non c’è nulla di cui sorprendersi in un paese dove Karni Eldad, editorialista del quotidiano Israel Hayom, definisce le decine di persone uccise, le migliaia ferite e le centinaia che hanno perso la vista nell’esplosione dei cercapersone, “un dono immenso alla nostra nazione, davvero meritato alla vigilia del nuovo anno” (il 3 ottobre cade il capodanno ebraico). La giornalista ha aggiunto in tono lirico: “Lo strabiliante colpo subìto dal nemico è proprio quello di cui la nostra nazione aveva bisogno: l’eleganza, la precisione, l’umiliazione, pensare con un milione di mosse in anticipo”. Un milione di mosse in anticipo. Tuttavia, le persone sensate sanno che la guerra è solo un’opportunità per spargere sangue, distruzione e lutti.

Nessuna reazione

L’idea di “una volta per tutte” appare particolarmente stupida alla luce della guerra a Gaza: avrebbe dovuto risolvere i nostri problemi una volta per tutte e invece sono ancora tutti lì dopo un anno di aspri combattimenti, che hanno causato decine di migliaia di vittime e la devastazione totale. Israele emergerà dalla guerra a Gaza in una situazione molto peggiore di quando ci si è lanciato.

Come si può pensare che una guerra contro un nemico molto più forte di Hamas, in un terreno molto più difficile, con un esercito esausto, circondati dallo sdegno del resto del mondo, potrà produrre un esito migliore del fiasco di Gaza? Evidentemente la maggior parte degli israeliani non ha ancora capito la portata del fallimento a Gaza e tratto l’ovvia conclusione che sarebbe stato meglio se Israele non si fosse imbarcato in quella guerra, per poi procedere subito verso il Libano. Lo stesso è accaduto con l’invasione di Rafah, nel sud della Striscia. Ci sono proteste, ma non contro la guerra.

È difficile pensare che le cose possano mettersi in un modo più assurdo di così: mentre i soldati uccidono ancora, sono uccisi e seminano rovina a Gaza, vanamente e senza scopo, altre forze si dirigono verso nord per un’altra guerra ancora più maledetta, anche questa pensata per risolvere i problemi una volta per tutte. Tutti vedono, e tutti credono alla menzogna. E dopo il Libano ci occuperemo dell’Iran. Anche lì abbiamo un’opportunità, anche lì risolveremo i nostri problemi una volta per tutte. ◆ fdl

Gideon Levy è un giornalista israeliano, opinionista del quotidiano Haaretz.

Dall’Iran

◆ La stampa iraniana segue da vicino le operazioni israeliane in Libano: alcuni giornali sostengono Hezbollah, mentre altri avvertono che una guerra totale rischia d’indebolire il “fronte della resistenza”, con cui si fa riferimento ai gruppi filoiraniani in Medio Oriente. Il quotidiano moderato Jomhouri-e Eslami ritiene che Hezbollah non può “distruggere il regime sionista” e quindi Teheran non deve “cadere nella trappola” di un conflitto che farebbe piombare la regione nel caos. Iran International nota che Teheran sembra disposta a riprendere i negoziati sul nucleare con l’occidente. Secondo il sito legato all’opposizione della diaspora, però, l’obiettivo è soprattutto allentare le sanzioni. In un’intervista l’esperto Ali Fathollah-Nejad spiega che “la riluttanza di Teheran a rispondere” a Israele dipende dalla “preferenza strategica” ad assicurarsi un allentamento delle sanzioni, cosa che favorirebbe la stabilità del regime. Il giornale ultraconservatore Javan, vicino ai Guardiani della rivoluzione, commenta che il governo sta mandando un “cattivo segnale al nemico” facendo pensare ai leader di Tel Aviv che “qualunque siano i crimini che commette nella regione Teheran non reagirà”.


Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1582 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati