Netflix

Ora che si rinnova la stretta sul fumo, la memoria di noi tabagisti corre all’indimenticato ministro Girolamo Sirchia, colui che ce la giurò senza appello, tracciando una linea rossa tra spazio pubblico e vizi privati. La sua scure affondò anche nel palinsesto televisivo. Ammonì Rai e Mediaset, forte di un monitoraggio dell’Istituto di sanità che registrò la presenza di una sigaretta ogni sette minuti nel Grande fratello, una ogni dodici nell’Ispettore Derrick e cinque a puntata per Kojak. Lo sceneggiato Incantesimo mostrava addirittura una fumatrice nella sigla e Giuliano Ferrara smise di condurre con il sigaro in bocca, “solo perché me lo chiese un cameraman”. Negli anni precedenti i posaceneri campeggiavano felici negli studi, per la gioia di accaniti tabagisti come Gianfranco Funari, Giorgio Albertazzi, Indro Montanelli e Ugo Tognazzi. Ma da Sirchia a oggi è successo qualcosa di nuovo. Se da una parte la tv generalista si è ripulita i bronchi, dall’altra l’arrivo delle serie ha acceso nuove fiamme. Truth initiative, organizzazione non profit statunitense contro il tabacco, rivela che serie popolari come Stranger things, House of cards e Orange is the new black, promuovono una visione positiva del fumo. Ma chi fermerà Netflix? E chi fermerà Emma Bonino, che in collegamento con Uno mattina ha avuto l’ardire di accendersi una sigaretta adducendo l’ultima difesa a noi concessa: “Sarò libera di fumare a casa mia?”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1502 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati