La televisione italiana compie settant’anni. Era la mattina del 3 gennaio 1954 quando la voce di Fulvia Colombo presentò il primo palinsesto. Tanti auguri. Ma un compleanno forse più rilevante risale al 1924, un secolo fa, quando una convenzione tra l’appena nato ministero delle telecomunicazioni e l’Unione radiofonica italiana, costituita dalla Radiofono di Guglielmo Marconi e l’italoamericana Sirac, diede vita al servizio pubblico, fin da subito con tratti profondamente “italiani”. Per meglio comprenderli, occorre risalire all’anno prima, al 1923, quando Benito Mussolini approvò un decreto voluto dall’allora ministro della cultura Giuseppe Bottai che sanciva il controllo dell’esecutivo sui mezzi di comunicazione di massa, perfezionando una precedente legge del 1910, detta “codice postale”, che aveva già attribuito al governo pieni poteri su programmi, impianti, informazione ed eventuali concessioni ai privati. E così fu fino al 1954 quando Togliatti e Scelba ottennero le dimissioni di Ridomi, presidente della neonata Rai radiotelevisione italiana, considerato troppo indipendente (e troppo ex fascista). Comunisti e democristiani nominarono insieme i vertici, in una gestione collaborativa durata parecchi anni, fino a quando l’euforia maggioritaria non ha invertito la rotta, riportando il servizio pubblico sotto un sostanziale controllo dell’esecutivo, come se fosse un 1924, un 1923 o ancora meglio, un 1910. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1544 di Internazionale, a pagina 74. Compra questo numero | Abbonati