Il reality, genere che ha governato la tv degli ultimi decenni ed esperimento che ha condizionato i format di mezzo mondo, è arrivato al capolinea. La chiave drammaturgica intorno alla quale ha costruito il suo successo – costringere i concorrenti a vivere situazioni più o meno estreme, dentro una casa, su un’isola sperduta o in un collegio senza tablet – ha toccato il punto di non ritorno, e anche il più scontato: il sesso. In Too hard too handle (Netflix) ragazzi e ragazze single e parecchio avvenenti vengono gettati nel classico resort con palme e piscine in attesa che gli ormoni facciano il loro corso. Ma per vincere i centomila euro in palio devono praticare la più totale castità, autoerotismo compreso. Ogni violazione comporta una decurtazione del montepremi. A dettare le regole un affare cilindrico con la voce di Alexa, una sorta di badessa digitale che magnifica le virtù dell’astinenza a una truppa che, come è ovvio, parte considerando il sesso una possibilità e finisce a viverlo come un’ossessione. Fu proprio la copula ad accendere l’interesse per il reality in Italia, grazie al compianto Pietro Taricone che, dopo un avvio lento e noioso, intuì che solo limonare duro avrebbe sbloccato gli ascolti, e così fu. Allora, parliamo del 2000, finire a letto era il sottinteso che muoveva il racconto e ne garantiva il successo. Ma con Too hard too handle scopare diventa il plot, e se al piacere si toglie il proibito subentra la noia. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1555 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati