Wolf Biermann (Amburgo 1936) fu una sorta di Bob Dylan europeo negli anni pesanti della guerra fredda. Il padre comunista morì ad Auschwitz e lui si stabilì ragazzino nella Repubblica democratica tedesca, una fuga al contrario che inseguiva un sogno di vendetta. A est trovò Brecht e ne fece il suo maestro, legandosi a un’opposizione interna al regime che passò molti guai, e quando tornò a ovest per un concerto gli fu negato il ritorno a casa. Questa storia è narrata minuziosamente in una memoria piena di fatti, di personaggi e d’ingiustizie, subite o viste da una parte e dall’altra, e infine di canzoni, coraggiose e bellissime. Meglio di un romanzo e all’altezza delle opere di Christa Wolf, Sarah Kirsch, Heiner Müller e altri. Ecco un grande poeta: “Non ci toglieranno il buonumore. / E neppure il nostro dolore”, cantava, e molte canzoni interrompono questa narrazione minuziosa e appassionante anche nel suo narcisismo, confermato dal bel dialogo con Joan Baez. Una storia che è anche storia d’Europa e d’Italia (seguiva la cronaca italiana, e gli piacque assai Berlinguer). L’ottima cura è di Alberto Noceti, come quella delle Otto lezioni per un’estetica della canzone e della poesia (da consigliare agli aspiranti cantautori, ma non solo). Entrambi i libri sono pubblicati da una piccola e ardita editrice genovese.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1418 di Internazionale, a pagina 119. Compra questo numero | Abbonati