Il nuovo romanzo di Melissa Panarello racconta la storia di un riflesso, di una donna che si abbottona, si riflette appunto, con una metà tanto simile e tanto diversa da lei. Una scrittrice di successo, Melissa, incontra Clara. La incontra quando questa non è più l’attrice che la interpretava nel film tratto da un suo famoso libro. Ne resta affascinata, ossessionata, resta imbrigliata nella storia di Clara, che in qualche modo è anche la sua. Le tracce che le due seguono per ricomporre le rispettive identità sono i soldi: qualcosa che quando è nelle tasche delle donne si porta dietro da sempre l’idea della poco di buono, mentre quando è tra le mani degli uomini… be’ quello lo sappiamo. Ma come dice nelle primissime pagine Clara: “Puttana è un mestiere, non un insulto!”. Panarello si muove sul filo dell’autofiction e della metanarrazione, e anche quello è un gioco di specchi da cui scaturiscono considerazioni sul ruolo della scrittura e sul suo rapporto con il successo, quindi con il denaro. Storia dei miei soldi parla in maniera diretta: più che infrangere un tabù – quello dei soldi, appunto, che mi pare oggi meno innominabile – trovo molto ben riuscito e interessante il modo in cui si ripercorre il legame tra il denaro e l’affetto materno, la famiglia, la cultura, l’ideologia, la brutalità di una certa industria. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1551 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati