Le proteste nelle università statunitensi per la guerra di Gaza possono dare l’impressione di un disagio generazionale ormai esploso. Il libro dello psicologo Jonathan Haidt sulla “generazione ansiosa” è il best seller del momento: la generazione Z, cioè le persone nate tra il 1997 e il 2012, ormai all’università, è traumatizzata dal covid-19 e dallo smartphone. E ora denuncia un mondo a pezzi. In realtà la generazione Z sta meglio di come pensa. L’Economist le ha dedicato una recente copertina: queste persone entrano in un mercato del lavoro favorevole, con ottimi aumenti salariali (13 per cento all’anno per i ragazzi tra i 16 e i 24 anni, contro il 6 per cento per quelli tra i 25 e i 54 anni), e ottiene pure smart working e flessibilità. I millennial, la generazione di cui faccio parte, hanno cominciato a lavorare durante la grande crisi finanziaria del 2008, in un’epoca di iper-precariato: negli Stati Uniti il millennial medio di 35 anni ha il 30 per cento in meno di patrimonio (soprattutto case) rispetto a ciò che aveva alla sua stessa età un boomer (la generazione dei nati tra la seconda metà degli anni quaranta e la seconda metà degli anni sessanta). Tra i millennial c’è più disuguaglianza che nella generazione dei genitori. Ma i millennial ormai sono troppo giovani per rassegnarsi e troppo vecchi per protestare. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1562 di Internazionale, a pagina 99. Compra questo numero | Abbonati