◆ Dopo “l’Iliade” di Se questo è un uomo, a diversi anni di distanza Primo Levi scrisse la sua “Odissea”, intitolata La tregua. Un titolo emblematico da rileggere nei giorni della memoria (dato che il resoconto comincia il 27 gennaio 1945) proprio mentre la storia ci mette davanti agli occhi un’altra tregua, quella di Gaza, dopo 471 giorni di guerra. Le immagini di quella moltitudine di esseri umani in cammino tra le macerie nel momentaneo e fragile riparo di una tregua fanno tornare alla mente le parole finali del libro di Levi, riprese anche nell’epigrafe: presto risentiremo il comando straniero wstawac, alzarsi! Come se la tregua fosse solo un non-tempo sognato, un purgatorio, una gita, una pausa di vita sedentaria tra l’unica realtà concreta e finale, vera più di ogni altra: il lager, la guerra, la pulsione distruttrice e irresistibile del caos. “Guerra è sempre” ci ricorda una delle indimenticabili voci di questo poema collettivo. Forse per questo Levi mise tanto impegno nel compito della testimonianza, come se i pilastri della memoria potessero fare da argine al caos. Per lo stesso motivo è così pericoloso abbattere quelle colonne, smantellare e sdoganare, in una specie di assoluzione collettiva dal passato, come si sente dire di questi tempi ai più alti livelli. Ma la tregua è lì, a ricordarci che fare deserti di rovine e chiamarli pace è solo un intervallo nell’incessante lavoro del caos.
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Questo articolo è uscito sul numero 1600 di Internazionale, a pagina 12. Compra questo numero | Abbonati