A volte agli apicoltori arrivano assurde richieste di sciami “orfani”, cioè senza ape regina e destinati a morire, per portarli nelle serre a impollinare piante come i meloni e le angurie, la cui industria non può fare a meno di questo fragile e miracoloso insetto. Sono famiglie di api che non possono sopravvivere, per questo si chiamano “sciami a perdere”. Investire nella salvaguardia di famiglie di api sane per gli imprenditori agricoli sarebbe troppo costoso, così usano le api orfane per assicurarsi il bottino senza doversi occupare di loro una volta finita l’impollinazione. Ho chiesto a mio padre apicoltore se si potesse fare un paragone con quello che si fa con la manodopera stagionale: non si è interessati a produrre lavoro continuo e benessere, ma si deve risolvere il problema di raccogliere pomodori e ortaggi nei campi assolati. Dato che non si trovano persone disposte a fare quel lavoro sottopagato e durissimo, si cercano lavoratori più fragili e temporanei, il cui destino in fondo non interessa ai datori di lavoro. Mio padre ha detto che non posso fare il paragone, perché le api morirebbero comunque, mentre si spera che nessun operaio agricolo debba morire. Eppure mi resta una domanda, che forse è ingenua: perché i lavori meno pagati sono anche i più pericolosi? Perché a lasciarci la pelle sono sempre le api orfane, i manovali, gli operai, quelli che lottano per arrivare alla fine del mese e sognano altre stagioni?

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Questo articolo è uscito sul numero 1570 di Internazionale, a pagina 12. Compra questo numero | Abbonati