Nel 2009 partecipai alla sessione ministeriale che avrebbe deciso se il mio primo film, Corpo celeste , era degno di “interesse culturale”. Dalla risposta dipendeva la possibilità di realizzarlo grazie ai finanziamenti pubblici alla produzione. Ricordo che in corridoio, in attesa di entrare insieme al produttore, pensai emozionata ai miei nonni maestri elementari: forse anche io avrei lavorato per il bene pubblico. Era una grande responsabilità: mi chiedevo se nel film che immaginavo ci fosse qualcosa che poteva accendere nello spettatore una domanda, un pensiero sul vivere insieme. Nel dibattito di questi giorni sui finanziamenti pubblici al cinema forse la vera questione è a monte: cos’è la cultura di un paese? Crediamo ancora che l’immaginario faccia parte dei beni pubblici immateriali? Mi piace pensare al nostro immaginario come un corpo condiviso che va nutrito: il cinema indipendente e tutte le offerte culturali libere dal mercato e che esistono grazie ai contributi statali sono nutrimento fondamentale per il suo sistema immunitario. “Non è vero che il fine giustifica i mezzi, ma i mezzi rivelano il fine”, scrisse Elsa Morante. Fare Corpo celeste con i mezzi derivati dal suo “interesse culturale” mi rivelò il fine di quello che stavo facendo. Spero che questa occasione sia data ancora a tanti giovani registi e registe di cui il nostro immaginario ha bisogno.

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Questo articolo è uscito sul numero 1581 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati