Se fossimo in un film di John Hughes, l’intervallo di tempo tra l’ottimo album di esordio dei bolognesi Leatherette Fiesta, del 2022, e il nuovo Small talk (Bronson Recordings) coinciderebbe con l’anno tra la fine delle superiori e l’inizio dell’università: quando i ragazzi con le giacche di jeans smanicate e le magliette bianche strappate che ti sfasciavano la macchina se gliela prestavi per una festa diventano quasi irriconoscibili, con un taglio di capelli no wave, gli occhiali da avanguardia letteraria europea e un’intrepida tenerezza contorsionistica derivata da nuove letture, nuove amicizie, nuovi interessi (la sequenza Fade away/Ponytail è tra i momenti migliori di questo 2023).
La mia interpretazione nasce sicuramente dall’abuso dei film di Hughes negli anni della pubertà, e sarebbe più corretto pensare invece allo scarto tra l’album di esordio degli Iceage e la loro seconda prova, quando nel passaggio da New brigade a You’re nothing mollarono i Joy Division per i Birthday Party e addirittura una cover di Mina. In realtà i Leatherette non mollano nessuno, soprattutto la loro immediatezza, ma le analogie servono a spiegare che in questo anno di tour e di passaggi radiofonici all’estero ci sono stati dei cambiamenti nei loro accenti, si sono deamericanizzati a vantaggio di una crepuscolarità più inglese. Ma sono solo i brandelli di una formazione musicale, che rischiano di essere inadeguati per contenere l’energia mutevole della vocazione quasi jazzistica di una band che si nasconde dietro la finta pelle per restare impressa in quella vera. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1536 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati