Raffaella Carrà invitò l’operaio Mario Varianti nella sua _Domenica in _(1986, Rai 1) a seguito di un telegramma. Nella puntata precedente aveva fatto mostra di sé il neopresidente di Confindustria, Luigi Lucchini, re delle acciaierie dal piglio progressista. Un siparietto coadiuvato da Piero Ottone, che spinse Varianti a scrivere: “Vorrei venire a dire la mia”. Raffaella lo invitò. “Un programma che si dichiara popolare non deve limitare il suo pubblico ai grandi protagonisti ed escludere quelli che Manzoni chiamava gli umili”, disse a Valentino Parlato in un’intervista sul Manifesto. Varianti raccontò la fabbrica su un palco che aveva appena ospitato una coreografia e che prevedeva a breve l’intervento di un comico. Parlò commuovendosi delle condizioni di lavoro, della mancanza di un’infermeria, dei bagni, delle mense. Raffaella aggiunse: “Non mi sentirò soddisfatta fino a quando la direzione della Bisider non s’incontrerà con gli operai”. Dettò la linea, la futura icona dei diritti civili, senza spostare le sorti della lotta di classe ma sostanziando in una manciata di minuti il senso del servizio pubblico, con quel raro talento di entrare nella carne viva del conflitto parlando a mamme apprensive e padri reazionari, di spostare il dibattito su una terza via (“non esistono etero o gay, ma creature”) senza cascarci dentro. “Diabolica questa ragazza di Bellaria!”, scriverà Giampaolo Pansa. “Non sarà mica comunista?”. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1417 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati