V erso la fine della prima guerra mondiale un generale tedesco inviò ai suoi alleati austriaci un telegramma: “La situazione è seria, ma non catastrofica”. La risposta al messaggio diceva: “Qui la situazione è catastrofica, ma non seria”. La battuta rende bene anche le divergenze tra Stati Uniti ed Europa a proposito della crisi in Ucraina. Per il presidente Joe Biden, che il 2 febbraio ha approvato il dispiegamento di truppe statunitensi in Europa orientale, un’invasione russa è una “chiara possibilità”. Per l’Europa non tanto. Un diplomatico tedesco ha sintetizzato la situazione: “Gli Stati Uniti pensano che Vladimir Putin farà una guerra. Gli europei credono che stia bluffando”. C’era da aspettarselo. Dopotutto per la popolazione dell’Europa occidentale la prospettiva di una guerra è plausibile quanto quella di un’invasione aliena. I decenni di pace, uniti alla dipendenza del continente dal gas e dal petrolio russo, fanno pensare alle autorità che le mosse aggressive del Cremlino siano un trucco. Ma la tendenza conciliante degli europei nei confronti di Mosca non spiega perché i funzionari ucraini, dopo l’allarmismo iniziale, oggi sembrino condividere la stessa opinione. Alla fine di gennaio il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha minimizzato la minaccia, sostenendo che la situazione è “pericolosa, ma ambigua”. Una frase sorprendente, per un paese che ha 130mila soldati russi al confine. Cosa c’è dietro?
La risposta è paradossale. Gli europei e gli ucraini non credono all’ipotesi di un’invasione russa dell’Ucraina non perché abbiano di Putin un giudizio più positivo rispetto agli statunitensi, ma perché lo considerano più diabolico. Secondo loro il Cremlino non punta alla guerra, ma a destabilizzare l’occidente. Per Bruxelles la minaccia di una guerra potrebbe rivelarsi peggio della guerra stessa.
Gli europei non credono all’ipotesi di un’invasione russa dell’Ucraina perché considerano Vladimir Putin più diabolico: il suo vero scopo è destabilizzare l’occidente
Gli Stati Uniti e l’Europa sono d’accordo invece su cosa vuole il Cremlino: una frattura con gli anni novanta, che seppellisca l’ordine nato con la fine della guerra fredda. L’Europa, secondo Putin, dovrebbe riconoscere la sfera d’influenza russa nello spazio post-sovietico e rinnegare l’universalità dei suoi valori. Più che la restaurazione dell’Unione Sovietica, l’obiettivo è il ripristino di quella che Putin considera la “Russia storica”. Il messaggio è arrivato a Washington e a Bruxelles. Da entrambe le parti dell’Atlantico c’è sintonia sul fatto che la Russia non si limiterà a fare un passo indietro. Gli statunitensi credono che Putin abbia bisogno di una guerra in Ucraina per realizzare le sue ambizioni di grandezza. Gli europei, e probabilmente gli ucraini, invece ritengono che una strategia ibrida – con una presenza dell’esercito ai confini, un uso del gas e dell’energia come armi e una serie di attacchi informatici – servirà meglio i suoi obiettivi. Un’incursione russa in Ucraina paradossalmente potrebbe salvare l’attuale ordine europeo. La Nato sarebbe costretta a rispondere, imponendo sanzioni e agendo in modo unitario. Inasprendo il conflitto, Putin potrebbe ricompattare i suoi avversari. Al contrario, fare un passo indietro potrebbe produrre l’effetto opposto, cioè paralizzare la Nato.
Per immaginare uno sviluppo simile, basta guardare alla Germania. Prima della crisi Berlino era la più stretta alleata degli Stati Uniti in Europa, coltivava una relazione speciale con Mosca ed era la principale referente per i paesi dell’Europa centrale e orientale. Oggi a Washington alcuni mettono in dubbio la sua volontà di affrontare la Russia, la relazione di Berlino con Mosca si sta deteriorando e molti europei dell’est sono inquieti per l’apparente riluttanza dei tedeschi ad aiutarli. Queste difficoltà sono un indizio di quello che potrebbe essere il futuro se Putin continuerà la sua politica del rischio calcolato. La Germania non è cambiata. Il mondo in cui agisce sì.
Oggi la potenza geopolitica non è determinata da quanta forza economica si può mettere in campo, ma da quanta sofferenza si riesce a sopportare. Il nemico non è più dietro una cortina di ferro. È un interlocutore con cui si possono fare affari, dal quale si può comprare il gas, e verso il quale si possono esportare prodotti tecnologici di lusso. Il soft power ha ceduto il passo alla resilienza. Per l’Europa questo è un problema. Se il successo di Putin dipende dalla capacità dell’occidente di resistere a lungo alla pressione dei prezzi alti dell’energia, alla disinformazione e all’instabilità politica, allora il presidente russo ha buoni motivi per essere ottimista. L’Europa non è pronta a queste sfide. Rimediare investendo nelle capacità militari, nella diversificazione energetica e nella coesione sociale dovrebbe essere il suo obiettivo.
Forse l’invasione dell’Ucraina non è l’ipotesi più plausibile. Ma gli europei devono sapere che non potranno evitare il test di resilienza. Come dice un proverbio russo: “Se inviti un orso a ballare, non sei tu a decidere quando finisce il ballo. È l’orso”. ◆ ff
Ivan Krastev
dirige il Centre for liberal strategies di Sofia. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Lezioni per il futuro. Sette paradossi del mondo nuovo (Mondadori 2020).
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Questo articolo è uscito sul numero 1447 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati