È difficile in queste settimane di grandi manifestazioni calcistiche o di annunci dei cartelloni dei festival o dell’elenco dei partecipanti a Sanremo non avvertire una corrente insidiosa: le produzioni colossali sono rimaste senza l’evento, un altro modo per suggerire che sono rimaste senza il senso del tempo. È come se non esistesse neanche un tormentone dei mondiali, quel brano che s’intercettava anche a prescindere dall’interesse verso il calcio.
Dai mondiali al Primavera sound, da Sanremo alle finali di X Factor, la sensazione è che sia tutto poco ispirato e prevalga l’ostinazione di preservare un determinato tipo di contenitore a prescindere dal contenuto. Ci sono varie considerazioni da fare: la prima è che il concetto di evento esclusivo con una ricorrenza annuale o quadriennale ha perso di senso a causa del modo in cui sono cambiati i sistemi di accesso ai fenomeni culturali o di intrattenimento. Al di là dei costi vertiginosi dei biglietti, è subentrato il tema della distanza, della sostenibilità ambientale e della fruizione in differita dei contenuti.
Ma è chiaro che questa noia vale soprattutto per una fascia demografica che è andata molto ai festival e ha partecipato molto alla visione collettiva delle trasmissioni musicali, trasformandosi in una specie di amplificatore sentimentale di canzoni e trend. Per molte di queste persone, l’interruttore si è spento. L’altra considerazione da fare, per uno sforzo di decentramento, è questa: siamo sicuri che la perdita di questo pubblico coincida con la perdita di tutto? ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1490 di Internazionale, a pagina 102. Compra questo numero | Abbonati