Gira voce che, alla domanda su chi siano i consiglieri più fidati di Vladimir Putin, una persona che fa parte della sua cerchia più ristretta abbia risposto: “Ivan il terribile, Caterina la grande e Pietro il grande”. Il 10 giugno il presidente russo si è paragonato a Pietro I e ha accostato l’invasione dell’Ucraina alle guerre espansionistiche dello zar di tre secoli fa. A un occhio inesperto, le sue azioni possono sembrare un tentativo di restaurazione dell’Unione Sovietica o addirittura dell’impero zarista. In realtà quello a cui stiamo assistendo è la fine perversa dell’ultimo impero europeo. Il cosiddetto russkij mir, o “mondo russo”, concepito come qualcosa di culturalmente più grande della Federazione russa, è sacrificato sull’altare dell’autoritarismo e dell’etnia russa. Questa visione è priva di qualsiasi appello a valori universali o attrattiva per i vicini della Russia.

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Il tentativo di Putin di accaparrarsi territori dell’Ucraina è una dimostrazione di forza che ha come conseguenza il crollo del soft power di Mosca. Con l’attacco a Kiev, Putin ha tagliato i legami con Bruxelles, provocando il disgusto degli europei nei confronti del suo paese. Un nuovo rapporto dello European council on foreign relations (il consiglio europeo degli affari esteri), che si basa su un sondaggio d’opinione, suggerisce che la rottura con Mosca è irreversibile, almeno nel breve e medio termine: la maggioranza degli europei ha perso ogni illusione d’integrare la Russia nel proprio mondo. Molti sono favorevoli a tagliare i rapporti economici, culturali e perfino diplomatici. Le sanzioni occidentali non sono riuscite a cambiare la politica estera russa, ma hanno costretto i governi europei a rinunciare all’idea che Mosca possa essere un partner affidabile per l’occidente.

Dieci anni fa le sezioni in lingua russa erano le più ricche in molte librerie ucraine. Oggi non più. È probabile che, dopo la guerra, scompariranno definitivamente

In termini di soft power, l’invasione dell’Ucraina ha ottenuto due risultati: la fine di ogni residua identità post-sovietica e l’indebolimento dell’uso della vittoria dell’armata rossa contro Adolf Hitler, sfruttata da Mosca per alimentare la sua mitologia nazionale e la sua reputazione internazionale. Prima dell’annessione della Crimea, molti russofoni in Ucraina vivevano senza bisogno di chiedersi se fossero russi o ucraini. Non erano i passaporti a definire la loro identità. Oggi, quando le truppe russe uccidono migliaia di civili perché queste persone insistono nel dire che non sono russe ma ucraine, ogni parvenza di identità post-sovietica è scomparsa per sempre. La guerra in Ucraina non è il periodo sovietico di Putin, ma quello anti-sovietico. Il giorno in cui l’ha lanciata, si è espresso come un generale dall’armata bianca che difendeva gli zar nella guerra civile, non come il colonnello rosso che effettivamente era prima della caduta del comunismo. Ha dichiarato che i russi sono le vere vittime del regime sovietico e che l’Ucraina è una finzione, un’entità inventata da Lenin.

Per costruire il suo regime autoritario, Putin ha distrutto il “mondo russo”. Questo è evidente soprattutto nella cultura. Spesso gli imperi nascono sul campo di battaglia, ma muoiono nelle librerie. Dieci anni fa le sezioni in lingua russa erano le più ricche in molte librerie ucraine. Oggi non più. È probabile che, dopo la guerra, scompariranno definitivamente. Nelle città europee, dove fino a quest’anno la maggior parte delle persone riusciva a malapena a distinguere i russi dagli ucraini, molti hanno capito la differenza. Per gli ucraini parlare russo nelle strade di Varsavia o di Berlino è una dichiarazione politica. Molti dei loro figli non vorranno mai imparare quella lingua.

La lingua russa nella vita culturale europea potrebbe essere un’altra delle vittime dell’invasione di Putin. La rivoluzione bolscevica e il regime comunista uccisero milioni di persone, ma non riuscirono a spegnere l’interesse degli stranieri per la lingua slava. Molti esponenti della sinistra in occidente e nel sud del mondo vedevano nel russo la lingua della rivoluzione e volevano impararla.

La guerra coloniale di Putin in Ucraina non invoglierà le persone a imparare il russo, anzi. La provocatoria definizione di Mosca, che considera i russofoni dei paesi vicini come etnicamente russi, diminuisce la volontà di questi paesi d’incoraggiare un’istruzione in lingua russa. Prima della guerra la classe media di Mosca e gli oligarchi di Putin agivano come se facessero anche un po’ parte del mondo occidentale. Questa esistenza “anfibia” non è più possibile. In Russia, essere “russi” significa ormai sostenere pubblicamente, in modo sincero o apparente, la guerra. In occidente, invece, essere russi significa non appartenere più all’occidente. Molti russi che vivono all’estero si sentono degli esuli.

Cambiare la natura dei confini con l’occidente, non solo la loro posizione, era l’obiettivo principale della guerra di Putin. Il presidente sta tragicamente raggiungendo questo obiettivo. ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1466 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati