Al primo turno delle elezioni presidenziali francesi del 2017 quattro candidati avevano raccolto tra il 20 e il 24 per cento dei voti ciascuno: il paesaggio politico e ideologico era molto frammentato. Fino all’ultimo minuto anche gli elettori del 2022 si sono trovati di fronte all’incertezza, con la possibilità di un ballottaggio fra estrema destra e destra (Marine Le Pen contro Emmanuel Macron, che la maggioranza degli elettori giustamente colloca ormai a destra) o di uno tra destra e sinistra (Macron contro Jean-Luc Mélenchon). Alla fine hanno prevalso Macron e Le Pen. Questa scelta avrà grandi conseguenze sul tipo di dibattito pubblico che terrà impegnato il paese per due settimane (e forse più): si discuterà di caccia agli immigrati invece che di condizioni di lavoro, sanità, istruzione, energie rinnovabili e giustizia sociale.
Qualunque sarà il risultato delle elezioni, possiamo già essere sicuri di una cosa: non assisteremo al pacifico ritorno a una rassicurante differenza tra sinistra e destra. Innanzitutto perché la generale svolta a destra del panorama politico e l’emergere di un potente blocco elettorale ostile all’immigrazione corrispondono a una tendenza profonda che il macronismo al potere ha pericolosamente accentuato. E poi perché servirà un lungo lavoro affinché le forze della sinistra riescano a unirsi e a conquistare il potere.
Qualunque sarà il risultato delle elezioni francesi, siamo sicuri di una cosa: non assisteremo al pacifico ritorno di una rassicurante differenza tra sinistra e destra
Partiamo dal primo punto. Appropriandosi del programma economico della destra, il centrismo macroniano non ha fatto solo una svolta a destra: ha anche contribuito a far virare a destra tutto il paese, spingendo i repubblicani all’inseguimento degli estremisti sulle questioni identitarie. Il fatto più pericoloso è l’arroganza del presidente-candidato, che pretende di essere rieletto senza dibattito né programma, oppure con delle misure approssimative che rivelano il suo vero obiettivo: governare per “i primi della cordata”, come li ha definiti lui, scommettendo sulle divisioni dei suoi avversari.
Il massimo del cinismo è stato raggiunto sulle pensioni. In Francia per avere diritto alla pensione bisogna rispettare due condizioni: raggiungere l’età minima (attualmente 62 anni) e aver versato contributi per una durata di tempo stabilita, che aumenta regolarmente e che toccherà presto i 43 anni per la generazione nata dal 1973 in poi. Detto altrimenti, per chi comincia a lavorare a 22 anni o più tardi, il fatto di portare l’età pensionabile a 65 anni non avrà alcun effetto: secondo la legge al momento dovrebbero comunque raggiungere i 65 anni o più per godere di una pensione completa. Al contrario, chi ha cominciato a lavorare a 18 anni, d’ora in poi dovrà aspettare di compierne 65, con 47 di contributi versati, anche se la sua speranza di vita è più breve rispetto a quella di chi fa parte del primo gruppo. Proponendo una simile riforma e sostenendo al tempo stesso che chi lavora da più anni sarà tutelato, Macron dice una gigantesca bugia e permette a Le Pen di presentarsi come la paladina delle classi popolari e di quelle che lavorano sodo. Lo stesso succede quando Le Pen propone di reintrodurre (a dosi omeopatiche) la tassa sui patrimoni finanziari. Questa misura è ipocrita, perché prevede al tempo stesso un esonero dall’imposta sulla residenza principale: i miliardari che hanno un castello avranno diritto a un bello sconto, mentre i cittadini francesi comuni subiranno l’aumento delle tasse sugli immobili. Ma fino a quando Macron si rifiuterà di tassare nuovamente i grandi patrimoni finanziari, Le Pen potrà presentarsi anche in questo caso come una candidata popolare.
Questa esplosiva miscela fatta di retorica contro l’immigrazione e di misure di stampo sociale pensate per le classi popolari bianche ha già funzionato in Polonia e in Ungheria. Il rischio è che questa impostazione, che potremmo definire social-razzista, prevalga in Francia. Se Macron non farà un gesto forte sulla giustizia sociale, la sua arroganza rischia di fargli perdere il secondo turno contro Le Pen.
Veniamo al secondo punto. Per tornare al potere, la sinistra dovrà riconciliare le classi popolari di origini diverse, oggi divise, e riconquistare chi non crede più alle promesse sociali ed economiche ma si affida alle misure contro l’immigrazione per cambiare il suo destino. Per farlo servirà un ambizioso programma di ridistribuzione delle ricchezze e un’autocritica sugli errori commessi. Ci vorrà tempo, perché la frattura con le classi popolari viene da lontano. I diversi partiti (France insoumise, ecologisti, socialisti, comunisti eccetera) dovranno superare i loro rancori e ritrovarsi in una nuova federazione popolare, democratica e internazionalista. Non si può criticare il presidenzialismo e poi rifiutare la democrazia interna quando si tratta di scegliere il proprio candidato. Non si può sostenere l’internazionalismo e al tempo stesso limitare la difesa della democrazia alle frontiere nazionali. E bisogna cominciare a lavorarci da subito. ◆ ff
Thomas Piketty
è un economista francese. È professore all’École des hautes études en sciences sociales e all’École d’économie di Parigi. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Una breve storia dell’uguaglianza (La nave di Teseo 2021). Questo articolo è uscito su Le Monde.
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Questo articolo è uscito sul numero 1456 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati